La diffusione della non credenza nel mondo è un fenomeno ormai evidente, sempre più oggetto di studi e ricerche. L’ateismo non si può più bollare, come avveniva fino a non molto tempo fa, come un fenomeno elitario per una sparuta minoranza di intellettuali o legato a particolari ideologie (come il comunismo o il socialismo). È diventato un modo di essere trasversale, diffuso nei paesi occidentali ma che inizia ad affacciarsi anche nelle aree a maggioranza islamica. Allo stesso modo, non rimane una “roba da ricchi”, ma si consolida con il diffondersi della secolarizzazione in vari ambiti della società.
Socializzare tra atei
Anche la rivista New Scientist ha affrontato il tema, con un articolo di Graham Lawton che è uscito tradotto sul penultimo numero della rivista Internazionale. Lawton, ateo dichiarato, inizia il suo articolo con la visita alla riunione domenicale della Sunday Assembly di Londra, la cosiddetta “chiesa per atei”.
“Faccio una cosa che non facevo da trent’anni: mi alzo e vado in chiesa”, esordisce ironicamente. Un fenomeno, quello delle Sunday Assembly, che si è diffuso nel mondo anglosassone su iniziativa di due attori e riunisce in ogni occasione centinaia di persone. L’intento è favorire la socializzazione, l’incontro e la condivisione di attività stimolanti tra coloro che non si identificano in un credo religioso e che hanno questa esigenza. D’altronde uno degli strumenti vincenti delle religioni è proprio la capacità di aggregare e creare reti di relazioni tra le persone.
Ovviamente, sebbene si facciano facili parallelismi con gli oratori delle parrocchie, non ci sono riti ma attività come conferenze e concerti. C’è da dire che gli stessi organizzatori giocano con ironia sul parallelismo religioso e diversi di questi luoghi d’incontro sono chiese sconsacrate: strutture che rimangono deserte e vengono destinate ad altri usi, visto il declino del cristianesimo nel Regno Unito.
Alcuni atei possono storcere il naso nel percepire lo scimmiottamento di pratiche religiose e voler prender le distanze (che talvolta significa essere contrari a qualcosa perché lo fa o dice la Chiesa), ad altri certe iniziative possono risultare utili e simpatiche. Innegabile è che, comunque la si veda, fanno leva su un’esigenza di socialità e condivisione che ci caratterizza come esseri umani e che viene declinata anche facendo a meno della religione. E un’associazione come l’Uaar, proprio perché unisce tante persone e punta a obiettivi di interesse collettivo, non può non interrogarsi su questo.
La crescita a livello globale dei cosiddetti “nones” pone anche problemi di questo tipo: in che modo creare reti di relazione ricche e costruttive tra persone che non condividono una fede religiosa? Una domanda che non è peregrina ma che ha profonde conseguenze anche a livello personale e sociale. Sia in termini di salute, visto che alcuni studi rilevano come l’aspettativa di vita migliori con la socializzazione (a prescindere se sia laica o religiosa). Ma anche in termini più ampi, a livello di empatia e solidarietà e sull’indirizzo che si vuole dare alla convivenza civile.
Una nuova ondata di secolarizzazione
Lawton intervista Ara Norenzayan, psicologo e professore dell’università della British Columbia di Vancouver, che fa il punto sull’andamento della secolarizzazione. In fase avanzata in Europa occidentale e settentrionale, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Cina, ma anche negli Usa, paese tradizionalmente “under God”. Non bisogna però confondere i “nones” con gli atei: la secolarizzazione favorisce la varietà piuttosto che il conformismo (per fortuna) e comporta piuttosto un distacco dalla religione nella vita quotidiana, cosa che vede sì la crescita dei non credenti dichiarati ma anche di diverse forme di spiritualità individuale.
Le previsioni di pensatori come Max Weber o Emile Durkheim sulla scomparsa inevitabile della religione vanno sicuramente ridimensionate: “anche se dopo la Seconda guerra mondiale alcune regioni dell’Europa occidentale, dell’Australia, del Canada e della Nuova Zelanda si sono secolarizzate, il resto del mondo è rimasto saldamente devoto”. Come va ridimensionato “il ritorno alla religiosità” preconizzato soprattutto da intellettuali credenti, spesso agitato in maniera trionfalistica.
Piuttosto, in risposta alla secolarizzazione, si è visto che “movimenti fondamentalisti stavano guadagnando terreno in tutto il mondo”. Ma oggi la secolarizzazione è in ripresa: “negli ultimi vent’anni c’è stato un repentino calo della religiosità in tutte le società”, sostiene Philip Zuckerman, sociologo del Pitzer College di Claremont noto per gli studi sui non credenti. Anche in società “dove prima non esisteva, per esempio in Brasile, in Irlanda e perfino in Africa”.
Paradossalmente la caduta del Muro di Berlino e la fine del comunismo hanno svincolato l’ateismo da una certa ipoteca ideologica, favorendone la diffusione. Se negli Stati Uniti il maccartismo e il clima da guerra fredda rendevano patriottica la lotta contro l’ateismo identificato con l’Urss, ora la nuova generazione cresciuta negli anni Novanta è “la meno religiosa che ci sia mai stata”. Se nella Russia post-sovietica uscita dal totalitarismo e dalla triste imposizione dell’ateismo la gente si è sempre più identificata con la religione e la Chiesa ortodossa ha guadagnato potere, in questi ultimi anni il processo si va invertendo.
Un dio nella testa
La credenza in un dio resiste, secondo diversi psicologi cognitivi, perché sfrutta “alcuni tratti della psicologia umana che si sono evoluti per motivi non religiosi”. Come la tendenza a individuare una intenzionalità simile a quella umana anche dove non c’è, sulla base del cosiddetto Hadd (hypersensitive agency detection device), capace di favorire la sopravvivenza degli ominidi in un ambiente ostile come poteva essere la savana.
L’idea di un “dio benevolo a nostra immagine e somiglianza”, “una finalità superiore” e la credenza in una vita dopo la morte, possono aiutare a “vincere la paura esistenziale e l’incertezza”. Favoriscono la religione il senso di autorità verso figure di “culto” e la tendenza a conformarsi alle norme sociali. Azioni eclatanti, come “atti di fede estremi” (digiuno, autoflagellazione, martirio) sono “manifestazioni che aumentano la credibilità” (i cosiddetti Creds). Gioca anche il maggior controllo sociale garantito dalle religioni: se le persone “si sentono sorvegliate” (ad esempio da un dio che si crede veda tutto), “tendono a comportarsi meglio e a collaborare di più”, almeno in passato.
Ma il fatto che la fede sia “naturale” non deve far cadere nella fallacia naturalistica, che ritiene giusto e normale ciò che avviene e santifica, per così dire, lo status quo. Lawton si chiede: “se la fede ci viene così naturale, perché esiste l’ateismo?”. In passato gli atei erano “una piccola minoranza”, di solito colta, e per superare i condizionamenti religiosi occorreva un “duro lavoro cognitivo”. Tale “ateismo cognitivo” rimane la “strada più comune” per diventare increduli, specie nei paesi dove è promosso il pensiero scientifico. Ma non è l’unica causa. Tante persone lontane dalla religione non si dichiarano esplicitamente atee, tant’è che Norenzayan afferma: “non sempre per arrivare a rifiutare la fede è necessario un duro lavoro cognitivo“.
Se la religione “prospera sull’angoscia esistenziale”, scrive Lawton, tra i motivi dell’abbandono della fede c’è semplicemente questo: tante persone “non hanno più bisogno del suo conforto”. Non è un caso che la secolarizzazione si diffonda in paesi più stabili, liberi, ricchi, che garantiscono una rete di sicurezza, assistenza sanitaria e welfare, nonché tra le fasce sociali che vivono meglio, come evidenzia il Global index of religion and atheism. Norenzayan chiama questo tipo di incredulità “apateismo” (fusione con il termine apatia, nel senso di ateismo pratico): “non è tanto una forma di dubbio o di scetticismo, quanto di indifferenza; semplicemente non pensano alla religione”. Un termine che ci sembra però un po’ ingeneroso, visto il connotato negativo e il sentore di passività che sottintende. Forse, più semplicemente, tanti sono atei perché vivono bene con se stessi e con gli altri consapevoli della propria natura umana e non hanno bisogno di stampelle psicologiche per far fronte alle angosce esistenziali.
Da parte cristiana — ma non solo — si tende a minimizzare l’ateismo, riducendolo all’indifferentismo: per alcuni non esiste e non può esistere. Messa così, appare una negazione tramite rimozione psicologica. Si fa notare, come fa Pascal Boyer, che tra i non credenti ci sono comunque tante persone con un approccio spiritualistico e che pensare religiosamente è “normale”. Ma quanti sono i credenti sicuri al 100% della propria fede e in quante occasioni di fatto fanno come “se dio non ci fosse”? La realtà è sicuramente complessa e ci porta, a seconda degli stimoli, a essere più o meno sensibili a certe idee.
Per Norenzayan la questione è infatti semantica: “non mi interessano tanto le etichette quanto la psicologia e i comportamenti. Le persone dicono di credere in dio? Vanno in chiesa, alla sinagoga o alla moschea? Pregano? Trovano un senso nella religione? Queste sono le variabili che ci dovrebbero interessare”. D’altronde il trionfalismo degli apologeti lascia il tempo che trova, se queste persone comunque non credono nel dio cristiano e non considerano una certa chiesa come portatrice di verità. È anche vero che la secolarizzazione non comporta una meccanica vittoria del razionalismo: “il bisogno del soprannaturale” rimane diffuso, con il prosperare di credenze paranormali non necessariamente legate a religioni tradizionali (come gli ufo e il karma, ma per estensione anche il complottismo).
Alla luce di tutto questo, si nota che la secolarizzazione ha più probabilità di mantenersi se nelle società c’è benessere ed è sfavorita dove le disuguaglianze sono marcate (come negli Usa). I danni causati da disastri ambientali, cambiamenti climatici e altre crisi tali da incrinare le sicurezze delle nostre società potrebbero anche invertire la tendenza laica: ma si tratta appunto di fattori storici, economici e sociali.
Lo spauracchio di una società più laica
Uno dei motivi per cui l’ateismo si diffonde, sostiene il teologo Stephen Bullivant della St Mary University di Londra (tra i curatori dell’Oxford Handbook of Atheism), è poi la sua più facile persistenza da una generazione all’altra: “è estremamente insolito che una persona cresciuta in una famiglia laica diventi religiosa”, mentre “non è affatto insolito” il contrario. Secondo le ricerche, chi ha genitori praticanti ha circa la metà delle probabilità di seguirli, mentre solo il 3% di chi cresce in un contesto laico abbraccia la fede. Su questo possono incidere le illimitate possibilità aperte dalla cultura moderna e dalla tecnologia (si pensi recentemente alla rivoluzione portata dai social network), che permettono di accedere a informazioni prima censurate dal controllo religioso e di entrare in contatto con altre persone scettiche.
Vista la crescita di famiglie non religiose, ci si pone il problema di come far convivere credenti e non nella coppia e in che modo educare in senso laico i bambini senza la religione. Inoltre, contrariamente ai luoghi comuni secondo cui quando si invecchia si crede di più a causa dell’approssimarsi della fine (che fanno fiorire anche la favolistica sulle conversioni), l’opinione sulla religione tende a stabilizzarsi passata l’adolescenza e non cambia, a parte rarissime eccezioni.
Diffusi, anche da parte laica, sono i timori che una società “senza Dio” degeneri e che la fede sia invece necessaria per non cadere nel caos, uno dei cavalli di battaglia del papa emerito Ratzinger e di altri profeti di sventura legati a una visione tradizionale e contraria al relativismo. In realtà, spiega Zuckerman con un’analisi globale del 2009 che ha messo a confronto religiosità e parametri del benessere sociale (come ricchezza, uguaglianza, diritti delle donne, istruzione, aspettativa di vita, mortalità infantile, gravidanze precoci, diffusione di malattie veneree, tasso di criminalità, suicidi e omicidi) “più un paese è laico e meglio se la cava”. Zuckerman è convinto che “certi aspetti della visione laica della realtà contribuiscano a creare società più sane”, a beneficio anche dei credenti: ritenere che “questo sia l’unico mondo che abbiamo” e non ci sia un aldilà spinge a “renderlo migliore che puoi”; l’importanza data alla scienza, all’istruzione e alla razionalità spinge a cercare soluzioni concrete (“per mettere fine alla criminalità”, sintetizza, “dobbiamo pregare o combatterne le cause?”).
Altro punto discusso dall’articolo è quello del legame tra religiosità, salute e felicità. Di solito si sente dire che i credenti sono più sani, ma tale correlazione sfruttata spesso dagli apologeti è messa in dubbio: una meta-analisi su 226 di questi studi ha fatto emergere “problemi metodologici e conclusioni errate”. Le poche ricerche sugli atei non danno differenze rispetto ai credenti, mentre se si parla di gruppi sociali, dove ci sono più atei c’è una migliore salute pubblica.
Sarà una società migliore? Dipende da noi
La religione quindi gioca su meccanismi psicologici e bisogni tipicamente umani: per questo Norenzayan sostiene che “non possiamo liquidarla dicendo semplicemente che è una forma di superstizione”. Ciò dovrebbe far pensare anche tanti atei sul modo in cui si confrontano alla religione. Ma per consolidare l’ateismo bisogna anche riflettere sulla necessità di trovare “soluzioni alternative agli eterni problemi della vita che la religione cerca di risolvere” e favorire la socialità. Per questo Lawton vede bene le riunioni della “congregazione laica”, che vanno incontro alle esigenze dei non credenti che “sentono il bisogno di una comunità” e di “una visione morale condivisa”, sono capaci di esprimere “valori laici” e “il messaggio che anche una società senza dio può essere sana”. “Se questo significa accettare un certo livello di irrazionalità new age, pazienza”, conclude.
Per questi motivi Lawton immagina una futura società “atea” ben diversa da “quella fredda e razionale” di Weber e Durkheim (o di Dawkins e dei “nuovi atei”): “più indifferente che ostile alla religione, ma tutto sommato una società sana”, simile a quella britannica odierna. Non abbiamo modo di sapere, non avendo la palla di vetro né la tendenza all’esaltazione, se un mondo più lontano dalla religione sarà migliore. Possiamo dire intanto — ed è già tanto — che la diffusione dell’ateismo non crea disastri o scompensi e non genera mostri come paventato. Fatto sta che, per affrontare i problemi concreti delle persone e delle società, riteniamo preferibile un approccio razionale, fondato sul buonsenso, positivo e propositivo, tollerante, aperto e rispettoso dei diritti e delle libertà, piuttosto che l’appello a divinità e a credenze non dimostrabili spacciati come panacea per tutti i mali, o a una visione pessimistica e chiusa che ritene inutile qualsiasi impegno.
C’è un fecondo dibattito anche tra gli intellettuali atei su come fare e su come rapportarsi alla religione, con approcci differenti. Senza dimenticare che tantissime persone riescono a vivere bene anche “senza D”, contrariamente a una serie di luoghi comuni che vorrebbero indispensabile la religione. Chi vivrà vedrà: intanto, possiamo già impegnarci nel nostro piccolo dando il meglio per rendere tutto questo possibile, nel rispetto di noi stessi e di chi ci sta intorno, nell’unico mondo che abbiamo a disposizione.
La redazione
Bell’articolo. Dico la mia:
“La crescita a livello globale dei cosiddetti “nones” pone anche problemi di questo tipo: in che modo creare reti di relazione ricche e costruttive tra persone che non condividono una fede religiosa? Una domanda che non è peregrina ma che ha profonde conseguenze anche a livello personale e sociale.”
Secondo me questo è un non-problema. Fino a qualche tempo fa l’unico centro di aggregazione per i bambini /adolescenti era l’oratorio, oggi ci sono piscine, palestre, centri culturali, associazioni di dopolavoro, corsi pre-parto (seguiti con grande interesse da me e mia moglie, quando aspettava – e che ci hanno fatto conoscere tanta gente) che sopperiscono egregiamente a tutto questo. Per gli adulti poi è ancora più facile.
“L’idea di un “dio benevolo a nostra immagine e somiglianza”, “una finalità superiore” e la credenza in una vita dopo la morte, possono aiutare a “vincere la paura esistenziale e l’incertezza””
Possono aiutare perchè da bambino ti instillano la paura della morte (tramite la paura dell’inferno) e ti forniscono contemporaneamente il “rimedio”.
Come dire a un bambino:” Nel buio c’è un mostro in agguato, ma c’è anche un angioletto che ti protegge, quindi stai tranquillo”. Meglio dirgli:”Nel buio non c’è niente, puoi stare tranquillo”.
E’ più onesto nei suoi confronti.
“Ma il fatto che la fede sia “naturale” non deve far cadere nella fallacia naturalistica, che ritiene giusto e normale ciò che avviene e santifica, per così dire, lo status quo”
Infatti, anche la violenza è naturale, ma non per questo non si cerca di combatterla.
“…e per superare i condizionamenti religiosi occorreva un “duro lavoro cognitivo””
Per me durissimo lavoro 🙂 , ma se non si condizionano i bambini il lavoro diventa semplicissimo.
“Da parte cristiana — ma non solo — si tende a minimizzare l’ateismo, riducendolo all’indifferentismo: per alcuni non esiste e non può esistere. Messa così, appare una negazione tramite rimozione psicologica.”
Questo porta solo a ignorare il “problema” (problema dal punto di vista cristiano) finchè non è troppo tardi.
“Ma per consolidare l’ateismo bisogna anche riflettere sulla necessità di trovare “soluzioni alternative agli eterni problemi della vita che la religione cerca di risolvere””
Continuo a sostenere che se evitassero fin da bambini di martellarci con le domande esistenziali che la religione cerca (invano) di risolvere quante persone ci penserebbero? O comunque, ci penserebbero con apprensione?
“…ma tutto sommato una società sana”, simile a quella britannica odierna.”
Società britannica odierna… sana?
@Gianluca
Giusto questa notte ho visto “Sicko”, di Moore. Almeno dal punto di vista sanitario, la GB è messa bene. Ma certo ciò non absta a definirla totalmente sana, ovviamente.
Concordo su ogni parola.
@ gmd85
“Sicko” lo vidi quando uscì. Mi si gelò e mi si gela ancora il sangue se penso al sistema sanitario americano. Ma forse Obama ha cambiato qualcosa, non ricordo.
@Gianluca
No. Che io sappia il mandato è rinviato al 2015 e le aziende che non ne gioverebbero – senza allusioni complottiste, ma per la logica quanto spietata concorrenza che il privato fa al pubblico – fanno il solito ostruzionismo.
“È anche vero che la secolarizzazione non comporta una meccanica vittoria del razionalismo: “il bisogno del soprannaturale” rimane diffuso, con il prosperare di credenze paranormali non necessariamente legate a religioni tradizionali (come gli ufo e il karma, ma per estensione anche il complottismo).”
Il problema – a mio parare – è in gran parte proprio qui. Non credo che il razionalismo debba (perché non può) ‘vincere il bisogno di soprannaturale’. In questo senso:
Il BISOGNO, inteso come componente ineliminabile della condizione umana (un uomo senza bisogni non esiste, diceva Feuerbach), nell’uomo… animale dotato di coscienza, cioè della consapevolezza della precarietà dell’esistenza individuale… tra gli altri bisogni è presente anche il ‘bisogno/esigenza di non morire’ (glielo impone – come per ogni altro animale – l’istinto di sopravvivenza), per cui aspira necessariamente (naturalmente) a trovare un modo, un espediente, per continuare a vivere anche dopo la morte…
Ed è qui che subentra la religione (e tutto ciò che della religione rappresenta un surrogato), proprio ‘sfruttando’ questa esigenza… ed è qui che entra in ballo il ‘soprannaturale’ (comunque inteso), cioè una dimensione che – vista la precarietà della ‘dimensione/condizione umana’ – vada oltre (‘aldilà’), tale dimensione. Alienando in questo modo la propria umanità.
Ora – per sintetizzare – la razionalità, a questo livello, si esprime al massimo delle sue potenzialità ‘vincendo’ il soprannaturale, non ‘il bisogno di soprannaturale’. Puntando a vincere il ‘bisogno di soprannaturale’, si finisce per – come si usa dire – gettare l’acqua sporca (il soprannaturale) assieme al bambino (il bisogno)”. Se non si tiene conto di questo, ci si troverà sempre di fronte alla ‘sostituzione’ di una religione con qualcosa che comunque svolge – nella psiche e quindi nei comportamenti – la stessa funzione.
E questo a mio parere…proprio di fronte a ciò che anche nell’articolo si prospetta, cioè ad una qualche situazione di crisi, di qualsiasi natura (che sicuramente oggi non mancano, anzi!)… sta attualmente accadendo. E una società’ veramente ‘atea’ (o veramente laica), se non si tien conto di questo, sarà sempre là da venire
Io non punterei a una società atea. Sarebbe già un’impostazione sbilanciata. Laica sarebbe meglio. E per laica intendo che dia spazio a chiunque, senza però prevaricazioni. E ancora ce ne vuole, temo.
@ gmd85
Ma per ‘società atea’ intendo… come utopia positivamente intesa, cioè in quanto tendenza, non in quanto realizzazione effettiva, storica… una società dove la fede (qualsiasi fede, non necessariamente solo quella direttamente religiosa) sia vissuta come un fatto puramente interiore. In sostanza come conseguenza di una rivoluzione culturale in senso lato. Se non si passa da qui, qualche successo, qualche conquista laica… ovviamente sempre da perseguire… risulterà continuamente a rischio, Come credo stia avvenendo.
E soprattutto – come più mi preme sempre sottolineare – non pensando di rimuovere, in senso psicanalitico, l’esigenza che viene comunque (cioè illudendosi, e illudendo, di soddisfarla) dalle religioni. E’ così che si alimentano, come giustamente temi, gli integralismi e le prevaricazioni.
Per l’appunto, ancora ce ne vuole 😉
Oltre che non prevaricare si dovrebbe esigere che gli atteggiamenti ultrafideisti non pretendano di volere una società a misura di integralisti.
“Caduta del Muro di Berlino e fine del comunismo hanno svincolato l’ateismo da una certa ipoteca ideologica”.
E vorrei vedere che non fosse proprio così !
Perché gli psicologi cognitivi devono, en passant, proporre come “alcuni tratti della psicologia umana si sono evoluti” e postulare il cosiddetto Hadd “capace di favorire la sopravvivenza degli ominidi (o meglio ominini) in un ambiente ostile come la savana”? Lo studio dell’evoluzione dei comportamenti umani è una cosa un po’ più complessa: perché esibire una fantasia per combatterne un’altra?
@ faidate
Più che postulato viene rilevato come comportamento innato, anche negli infanti.
Tempo fa ci fu un articolo al riguardo proprio qui.
@Stefano
OK, ma volevo dire che equiparare gli ominini agli infanti è audace.
@ faidate
Il comportamento è tipico non solo degli umani ma anche degli animali.
E’ semplicemente più vantaggioso, dal punto di vista della sopravvivenza, un falso positivo derivante dall’ipotizzare un agente dietro un segnale ambiguo rispetto all’ipotesi contraria.
Se il comportamento è retto da componenti istintuali, poi, risulta più veloce rispetto ad una valutazione più precisa ma più lenta. Il tutto a vantaggio della sopravvivenza.
@Stefano bis
Volevo solo istillare prudenza nelle estrapolazioni che riguardano l’evoluzionismo, specialmente quando sono inutili.
@ faidate
@Stefano bis
In realtà sono l’originale, ho dovuto aggiungere ™ per distinguermi da un usurpatore 😉
Adesso mi aspetto un intervento dalla nostra E.n.g.y in merito a parrocchie e chiese. 😆
Diventare atei è molto facile, basta fare dei semplicissi ragionamenti su ciò che ci hanno inculcato. Per farli basta non essere plagiati dalle religioni. Faccio qualche esempio:
1) Esiste il paradiso con gli angeli sopra le nuvole?
– Ovviamente no. In cielo ci vanno gli aeroplani e non hanno mai trovato nessun angelo o nessuna anima a sedere sopra le nuvole, che sono ovviamente dei semplici ammassi di vapore acqueo.
Lasciamo questo immaginario medioevale alla scenetta pubblicitariadi Bonolis – Laurentis che prendono il caffè.
2) Esiste la possibilità di parlare con Cristo o la Madonna? (cosa che affermano in molti)
– Mi dimostrassero che è possibile vedere o parlare con una persona morta 2000 anni fa. Se questo è possibile allora è possibile parlare pure con Napoleone.
Più logicamente chi afferma questo, in realtà parla con una creazione della propria fantasia, detta “amico immaginario”.
3) Per i cristiani Cristo è vivo e sta in cielo.
– Dunque per i cristiani esiste un uomo vecchio di 2000 anni che è invisibile e vola tra le nuvole. E che ovviamente gli parla nella testa (lui non usa le e-mail o gli sms).
4) Le religioni parlano dell’Arca di Noè, una nave delle dimensioni di circa 300 metri e che secondo la Bibbia fu creata quando lui aveva 600 anni.
– Già, ma Noè era vissuto nella preistoria (neolitico) quando non esisteva la tecnologia per creare un barcone simile e anzi non esistevano nemmeno i chiodi e la sega per lavorare il legno. Quindi come faceva a creare una cosa del genere? E oltretutto, come faceva un uomo vecchio di 600 anni ad essere così in forze da creare una cosa del genere? E infine, come faceva una coppia di pinguini a raggiungere l’Arca partendo dall’Antartide ed arrivare in medio oriente in piena zona desertica?
5) Mosè apre le acque del Mar Rosso.
Ma secondo voi è possibile che qualcuno ci creda veramente che sia accaduta una cosa del genere. E’ovvio che è solo una favola.
6) Gesù moltiplica i pani ed i pesci – Gesù cammina sull’acqua, ecc…
Scusate ma a me questi sembrano i classici trucchi di un illusionista o di un prestigiatore. Forse il mago SILVAN ci potrebbe spiegare qualcosa in merito.
E di questi esempi se ne potrebbero fare all’infinito. E’ ovvio che chi fa questi semplici ragionamenti poi dive ateo. E qui l’ideologia comunista non c’entra niente. E’ solo intelligenza.
Tu la fai troppo facile:
alle domande a cui tu rispondi ‘no’, i credenti rispondono ‘si’.
Le chiese sono ormai vuote, ma chi ci va crede ancora di poter
parlare con dio, sangennaro, pipìo e la madonna.
Quindi diventare atei non è così facile perché i ‘semplicissimi’
ragionamenti i credenti non li fanno.
Dici ”per farli [i ragionamenti] basta non essere plagiati”, ecco, appunto.
Sulla faccenda di Gesù che cammina sulle acque sarei un po’ più possibilista.
Ti ricordo che l’ imperatore romano Caligola aveva fatto qualcosa del genere facendo piantare delle palafitte su cui erano sistemate delle tavole appena sotto il pelo dell’ acqua e ci era andato addirittura anche a cavallo.
Mi pare che l’ evento fosse avvenuto a capo Miseno, ma confesso vado a memoria.
Tutto ciò mi fa pensare che fosse un tipo di tecnica già piuttosto conosciuta all’ epoca.
Visto che vi era andato a cavallo, oltre al divino imperatore, venne divinizzata anche la nobile cavalcatura ?
Forse non divinizzato, ma pare che rimediò la carica di senatore.
Magari con maggior merito di qualcuno che oggi abbiamo al governo…
Io ho sempre pensato a una camminata con il classico miraggio dell’acqua alle spalle, magari in vicinanza di acqua vera e propria. Sai che effetto ottico?
E la coppia di canguri che è entrata nell’Arca come ha fatto a fare il viaggio dall’australia in medio oriente, visto che l’Australia è un’isola e i canguri non sanno nuotare? 😀 😀 😀
I canguri almeno saltano, e anche bene.
Ma … e i bradipi??? 🙂
E come ha fatto tutta la miriade di microrganismi patogeni oggi conosciuti (più quelli ancora non scoperti) a non fare una strage compelta di tutti gli animali presenti sull’arca, umani compresi? Basterebbe pensare anche solo alla peste, di manzoniana memoria
“Se parli al tuo dio sei credente, se il tuo dio ti parla sei psicotico” (dr. House).
E quello che pretende di rappresentare dio sulla terra?…
@ Diocleziano:
per lui scomoderei Voltaire: “La religione è nata quando il primo ipocrita ha incontrato il primo imbecille”.
🙂
le risposte “logiche e scientifiche” ai quesiti che hai posto possono andare bene per chi si accontenta dell'”adesso” ….per chi si pone la classica domanda “…chi siamo e da dove veniamo..” è un po poco. essere un uomo di scienza non esclude che ci possano essere quesiti cui noi non riusciamo a rispondere..
I quesiti a cui non si riesce a rispondere non implicano che la risposta debba essere arbitraria e di tipo divino/trascendentale.
Un quesito cui non si può rispondere non ha risposta, non ne ha una irrazionale. Un uomo di scienza dovrebbe saperlo.
@ Ingegnere credente
Se uno ha un quesito a cui non sa rispondere fa meglio a stare zitto, invece che inventarsi delle risposte assurde che in questo caso fanno solo comodo al Vaticano.
Ingegnere
Innanzitutto, davanti a un quesito, ci si dovrebbe domandare se il quesito è corretto ed è fondato. Ci sono quesiti corretti ai quali per lungo tempo si è data una risposta sbagliata; ad altri quesiti infondati la risposta non poteva che essere irrazionale. Nel secondo gruppo ci puoi mettere dio, la frenologia, la rabdomanzia, gli esorcismi e altre cose così. Non ricordo casi di quesiti sbagliati a cui si è data una risposta corretta…
@Ingegnere credente
Un problema di algebra o di trigonometria al quale uno studente non sa rispondere, automaticamente, non avrebbe risposta? Sicuro di volerla mettere così?
E comunque, scusa, un ingegnere che si arrende di fronte a un quesito, per me, ispira poca fiducia.
@ gmd85
“E comunque, scusa, un ingegnere che si arrende di fronte a un quesito, per me, ispira poca fiducia.”
Ma il nostro ingegnere non si arrende affatto, anzi! Alza solo il tiro passando la palla alla fede… e che si arrangi un po’ lei! Indicando così su cosa si regge tutto l’impianto speculativo di tanta teologia.
Di fronte a ciò mi viene sempre da proporre ai nostri credenti un suggerimento disinteressato, ai limiti dell’autolesionismo, ai nostri credenti:
ma perché non la smettete una buona volta con questa pretesa di ‘razionalizzare’ (in senso letterale o psicanalitico) la fede? Un bel ‘credo quia absurdum’ non vi metterebbe l’animo in pace? Lasciando tra l’altro che gli sprovveduti atei razionalisti si arrangino da soli di fronte alle domande esistenziali che tirate sempre in ballo. E in questo modo a volte li potreste perfino vedere litigare tra loro su tali questioni. Cosa volete di più? 🙂
@ingegnere credente :
Il nostro corpo, il nostro cervello e la nostra coscienza non hanno evoluto per creare una immagine scientifica del mondo o definire la realtà ! In altre parole, il nostro encefalo non è stato “progettato” per la conoscenza. L’evoluzione biologica è potente e opportunista, ma non è né intelligente ne istruzionista ! E questo una persona relativamente colta dovrebbe saperlo…..
@ gmd85 – alessandro – ingegnere
Ecco un esempio di ‘litigio’ tra atei 🙂
Di fronte ad affermazioni come questa:
” (…) il nostro encefalo non è stato “progettato” per la conoscenza. L’evoluzione biologica è potente e opportunista, ma non è né intelligente ne istruzionista”
all’amico pendesini mi viene sempre da chiedere (anche se mi ha già risposto tante volte :)):
ma se così stanno le cose in che senso parliamo… produciamo, e ce ne serviamo… di conoscenza? Che valore hanno queste conoscenze? Cosa ci permettono veramente di conoscere… per esempio di conoscere come funzione il nostro cervello (producendosi così, tra l’altro, in un vertiginoso circolo vizioso)? Perché, in base a cosa riteniamo il metodo scientifico ‘il più intelligente’ di altri per produrre conoscenze che possono veramente servire? Chi l’ha elaborato? E così via.
E Infine: che importanza ‘concreta’ ha il fatto che tutto dipenda (in parte o integralmente… per quanto mi riguarda pur sempre integralmente) dall’evoluzione biologica? Evoluzione biologica che posiamo condizionare, guidare, orientare – afferma sempre pendesini – ma verso che cosa e per che cosa? Perché non possiamo ritenere semplicemente che l’evoluzione, ‘evolvendo’, ci ha dotato di queste facoltà?
A me sembra che alla fine non ci sia poi molta differenza tra questo determinismo che toglie ogni vero valore alla nostra volontà, alla nostra possibilità di autodeterminarci… possibile entro certi limiti, sicuramente, all’interno dei quali però possiamo agire liberamente, per promuoverci o autodistruggerci
e un libero arbitrio che ci verrebbe ‘concesso’ da dio?
PS. Certamente la fede avrebbe già la risposta già pronta per questi quesiti: la fede!
Devo integrare e precisare questo passaggio.
“(…) possibile entro certi limiti, sicuramente, all’interno dei quali però possiamo agire liberamente, per promuoverci o autodistruggerci… senza dover renderne conto ad altri che a noi stessi.”
@bruno
@pandesini
Di sicuro, l’encefalo accumula informazioni. Penso che la conoscenza nasca dal mettere in relazione queste informazioni, siano esse nozioni trasmesse o interiorizzate per esperienza diretta. Non so che intenda pandesini per “conoscenza”, ma spero che approfondisca il suo pensiero in modo da farci un’idea in merito 🙂
Non è che i due fenomeni siano simmetrici: la secolarizzazione è una manifestazione spontanea della società, sarebbe anzi l’esito spontaneo del trend. Al contrario succede nelle zone infestate dalla devozione, artificialmente tenuta in vita dalla politica.
Direi che è più un effetto dell’evoluzione della democrazia che prima non c’era o era debole. Fino a non molto tempo fa le religioni erano religioni di stato, quindi imposte con ogni mezzo alla popolazione dall’alto, che non poteva certo sceglierla. Basta vedere anche ciò che succedeva storicamente a chi non era allineato.
Prima era un po’ come dire che gli italiani erano fascisti quando c’era il fascismo o monarchici quando c’era la monarchia. Monarchia, o anche l’alta borghesia, e clero erano prima alleati per creare dei buoni sudditi. Ancora oggi c’è il legame col potere, ma non è più lo stesso di prima: in democrazia per loro è tutto più difficile. Ancora poco più di 100 anni fa il papa si scagliava apertamente contro la libertà di pensiero.
Come sarà la società atea ? Un vero inferno.
giuseppe
Se per inferno intendi mancanza di Dio e di Cristo, d’accordissimo. Peccato che la mancanza dei suddetti già oggi faccia un mondo migliore. Vatti a fare un giro in Canada o in Giappone o nei paesi scandinavi. E non dire “Sì, ma lì si suicidano” perchè è un luogo comune, basta vedere le statistiche (la scandinavia non è ai primi posti per suicidi, ma in posizione media).
E tu, da peccatore quale sicuramente ammetterai di essere, come ogni buon cristiano, in quale girone sarai? 😆 3:-)
Va bene che sei allergico agli atei, ma proprio così banale, no, diamine. :-/
Comunque, sono sicuro che tu sia in grado di spiegare bene il perché della tua affermazione, da buon argomentatore quale sei, e di certo non ci lascerai col dubbio che essa sia solo una battuta acida basata sulle solite convinzioni standardizzate. Aspetto fiducioso. Non deludermi 😉
@ giuseppe
Ma di che cosa ti preoccupi? Tu e tutti quelli che saranno martirizzati dai diabolici atei… andrete in paradiso. Del resto non viviamo comunque… atei o non atei… in una valle di lacrime?
@ giuseppe
Quindi un paradiso, visto che tu non ci sarai…
Infatti risulta evidente a tutti che dall’avvento della religione cristiana fino ad oggi, dove appunto la suddetta ha avuto praticamente carta bianca con l’appoggio di milioni/miliardi di persone e governi, si sia instaurato un paradiso idilliaco vero giuseppe?
Risulta evidente a tutti che solo oggi questo paradiso sta scomparendo per colpa della secolarizzazione….
Povero giuseppe… torna pure a scrivere letterine a babbo natale.
Ce ne sono già di società praticamente atee, dai paesi bassi agli scandinavi.
E sono considerate le società più avanzate, col maggior benessere e la maggiore felicità degli abitanti.
Pare che invece sotto le teocrazie non si stia molto bene.
Ok, ma non mi esporrei nel dire maggior felicità, quella è soggettiva e non misurabile.
giuseppe, fa’ qualcosa che non hai mai fatto in vita tua: spiegaci PERCHE’.
In una società completamente secolarizzata, la domenica si porterebbero i bambini a vedere Giuseppe, “venite piccoli, visto che allo zoo ci siamo stati domenica scorsa e che il museo delle cere è chiuso, vi vorrei portare a vedere i feti nati deformi sotto spirito all’ istituto di medicina legale, ma, se non vi spaventa troppo, andiamo ad osservare Giuseppe” – “no, no, papi, meglio i feti sotto spirito”. Invece ancora ci si preoccupa di rispondergli.
Come sarà la società atea ? Un vero inferno.
—————————————————————-
E a tu che ne sai ?
Probabilmente non ci crede nemmeno lui, ma è che il parroco gli regala un santino per ogni beIinata che scrive qui…
Articolo molto bello ed articolato.
Mi perplime un pò questo passaggio:
“La religione quindi gioca su meccanismi psicologici e bisogni tipicamente umani: per questo Norenzayan sostiene che ‘non possiamo liquidarla dicendo semplicemente che è una forma di superstizione’. ”
Perchè cos’altro sarebbe di sua grazia?
Comunque la si metta rimane una forma di superstizione anche se più articolata.
Diciamo che la religione è una superstizione incanalata in un contesto sociale fatto di riti e di convenzioni.
A volte mi pare ci sia sempre troppa attenzione e/o premura a non dire le cose come stanno per paura di offendere i beoti che si bevono queste castronerie nonostante la loro supposta età adulta. Anni ed anni di studi per poi mettersi a pregare un dio, capitatogli a caso, convinti che ci ascolti: siamo, nè più nè meno, ai livelli di un bambino che scrive la sua letterina a babbo natale convinto che la leggerà…. ma dai siamo seri!
Ateo64
Concordo. Quando parlo con qualche credente e accomuno la religione alla superstizione, dissentono duramente. A quel punto chiedo loro:” Cos’è la superstizione?” Una risposta precisa non sanno darmela, dicono che si tratta di credere al gatto nero, alla sfortuna che ti prende se passi sotto una scala ecc. ecc.
Quando faccio notare loro che la superstizione è semplicemente corrrelare due avvenimenti qualsiasi ponendoli in nesso di causalità l’uno con l’altro (senza ovviamente che si possa dimostrare, questo nesso) di solito concordano con la definizione. Poi chiedo:” Cosa cambia col ritenere che il fatto che ti sei scansato un incidente => (implica) che Dio /la madonna/Gesù Cristo/Padre Pio/ecc.ecc ti ha aiutato?
E lì rimangono perplessi, oppure dicono: “Che c’entra!”
Chissà il buon giuseppe (qualche post più su) come risponderebbe…
Ti direbbe che non hai capito e che sei accecato dall’ideologia. O qualcosa di simile 🙂
Esatto. Ma mi viene a mente anche quest’altra definizione di superstizione, data da Massimo Polidoro nel suo Dizionario del paranormale nel 1997:
l’attribuire a cause soprannaturali fenomeni ed eventi spiegabili con cause naturali.
Esatto. Ma mi viene a mente anche quest’altra definizione di superstizione, data da Massimo Polidoro nel suo Dizionario del paranormale nel 1997:
l’attribuire a cause soprannaturali fenomeni ed eventi spiegabili con cause naturali.
Scusate il doppio invio.
Non penso che la fede sia un evento naturale innato, come mi è sovente capitato sentire o leggere su siti ovviamente filo-religiosi !
L’uomo non nasce determinato a credere, non importa in quale divinità, cosi come con il concetto di un dio qualsiasi. A questo livello diverse fonti sia storiche che scientifiche confermano quanto scritto.
Le angosce esistenziali (o paure irrazionali) sono generatrici di qualsiasi credenza mitica (spiritualismo, totemismo), ma anche a volte paradossale per non dire assurda. Il bisogno del soprannaturale, a credenze paranormali, nasce dalle stesse fonti.
L’articolo dice :”Diffusi, anche da parte laica, sono i timori che una sociéta “senza Dio” degeneri e che la fede sia invece necessaria per non cadere nel caos”…Quest timori sono assolutamente infondati ! Basti vedere, alla proporzionale, il numero di credenti e atei che si trovano incarcerati per crimini o motivi gravi !!! ….Non abbiamo bisogno di credere in dio per sapere che uccidere, rubare, sfruttare, abusare dell’ingenuità della gente ecc… NON è un comportamento etico. Inoltre NON é mai esistita una guerra in nome dell’ateismo, della gravitazione, bosone di Higgs o dell’evoluzionismo……
Finche ci sarà un’ignoranza arcaica, una conoscenza inesistente o primaria nella branca antropologica e non solo, ci saranno credenti ! Quindi direi (modestamente) « cauti »….
@ alessandro
Niente di innato, sicuramente. Ma ti pongo una domanda: ritieni o non ritieni che l’evoluzione – nei modi e nei tempi che certamente si possono sempre studiare – abbia dotato l’uomo di una coscienza (o comunque la si voglia chiamare) che di fatto lo rende consapevole del proprio destino individuale che per altro l’istinto di sopravvivenza vorrebbe evitare? Per me (e non solo per me ovviamente) le religioni hanno origine da questa esigenza. Esigenza che non è tanto qualcosa di innato, ma di provocato dalla condizione umana, dalla consapevolezza che se ne ha.
Ora, ritieni che l’evoluzione in senso cognitivo possa giungere a superare – sempre come consapevolezza – questa esigenza? Non parlo del ‘come’ la si debba affrontare, perché questo dipende in massima parte dalle conoscenze che la ricerca scientifica permette di acquisire… ma non credo che, anche se si sostiene sempre che la morte è un ‘fatto naturale’, la si possa eliminare. La si può rimuovere, certamente, in senso psicanalitico, ma ciò diventa ancora più pericoloso, come sempre pericolosa è ogni rimozione, in quanto condiziona senza che se ne abbia coscienza, i comportamenti.
Io credo che, dopo milioni di anni di evoluzione, questa esigenza venga ancora oggi in qualche modo affrontata dalla gran parte della popolazione mondiale in modo completamente distorto, ad opera soprattutto delle religioni (ma non solo) le quali di fatto la rimuovono nel momento in cui ritengono di poterla ‘soddisfare’ in una dimensione ‘ultraterrena’, o comunque trascendente la condizione umana.
E la scienza? Ormai ci conosciamo e non sto a ripetere le solite cose. Alle quali comunque ora aggiungo, visto ho introdotto il tema: sicuramente è insostituibile per giungere a conoscenze certe, per quanto necessariamente sempre limitate e in divenire… purchè anch’essa non ‘rimuova’ l’esigenza.
Bruno, Alessandro,
la propensione alla fede, o meglio, alla credenza nello spirituale, nell’anima, è veramente qualcosa di innato. Noi tendiamo, in modo del tutto naturale, a vedere certe cose come “animate”, e questo ci arriva dall’evoluzione, da quando ogni ombra, ogni foglia, od oggetto che si muoveva, poteva nascondere un predatore. Il passo successivo, dall’animismo alla religione, è poi stato relativamente semplice, e storico.
Consiglio vivamente il libro “Nati per credere”, di Girotto, Vallortigara, e Pievani.
h ttp://www.rescogitans.it/main.php?articleid=322
@ Giorgio
“la propensione alla fede, o meglio, alla credenza nello spirituale, nell’anima, è veramente qualcosa di innato”
Chiamiamola pure ‘qualcosa di innato’… ma perché è così difficile ritenerlo la conseguenza della consapevolezza della condizione umana – nel senso di cui ho parlato sopra – della quale l’evoluzione, a quanto se ne sa (da quando non si sa), ha dotato l’animale uomo? Non si rischia, diversamente, di dare credito (non parlo ovviamente per te) alle religioni che considerano questa ‘propensione alla fede’ un sorta di idea platonica inculcata da un qualche Demiurgo?
Non credo in una natura umana, sempre opinabile e manipolabile ideologicamente, mentre credo in una condizione umana della quale – fino a prova contraria – tutti possiamo fare l’esperienza. Salvo naturalmente affrontarla poi in tanti modi… per esempio come fanno le religioni.
(Il mio anti-innatismo è naturalmente di natura diversa da come lo interpreta l’amico pandesini)
@Bruno
Devo purtroppo ripetere che fin dalla nascita, il mondo del bambino è strutturato dalla gente, animali e cose che lo circondano. Nessuna rappresentazione mentale precede la percezione di una sedia, un cane, un gatto ecc…Senza il sistema di informazione culturale, il programma genetico resta lettera morta ! In altre parole, senza scambi, senza imitazione possibile, il cervello recente (neocorticale) non si sviluppa, l’uomo è all’opposto di una formica, sa poco e deve imparare molto. E questo lo fa -o subisce- durante tutta la vita !
–Aggiungo che sensa scambi culturali -dalla nascita in poi- il bambino non puo’ parlare spontaneamente !! poiché l’idioma (e non solo) fa parte dell’acquisito ! NON dell’innato. Le PREDISPOSIZIONI (determinismi genetici) culturali umane sono innate, qui non ci sono dubbi, ma non dobbiamo dimenticare che la cultura è un fenomeno EPIGENETICO -cioé trasmesso- e NON innato come certi credono ! In altre parole si nasce con un cervello cognitivo “vuoto”, a “riempirlo” sono tutte le persone che interferiscono con lui dalla nascita in poi. E come diceva Luca Cavalli-Sforza « I geni non controllano la cultura : la determinano solo nel senso che controllano gli organi che la rendono possibile»
NB: Cito un penoso -e non unico- caso storico accertato : un bambino sin dalla nascita è stato letteralmente messo in un pollaio (sic). Era solo nutrito, ma nessuno ha interferito verbalmente con lui. Quando è stato scoperto dalle autorità aveva (se non vado errato) circa 7 anni; NON parlava e non era in grado di capire chi gli parlava, ma sapeva imitare le “voci” delle galline !!! inoltre si comportava accovacciandosi ecc…come i polli, suoi unici compagni durante questo periodo. –L’idea o concetto di un dio qualsiasi NON è innata come molti ritengono ! L’uomo è solamente geneticamente predisposto -come in qualsiasi tipo di cultura- a credere ma anche non credere in Dio !
NB La penosa esperienza del ré di Prussia cosi come i bambini di certi orfanatrofi di Ceausescu e diversi altri casi storici cosi come certi studi accademici, confermano ampiamente quanto detto.
Vorrei inoltre ripetere che prima di circa 300.000 anni fa, la nostra astrazione mentale non superava a quella di un bambino di 5-6 anni attuale. Dopo questa data -che coincide con la sepultura dei morti- il nostro encefalo (corteccia corticale) ha evoluto : la cognizione mentale ha evoluto andando -progressivamente- ben oltre ben oltre 5-6 anni. Oggi sappiamo che un bambino NON conosce il concetto della morte prima di circa 5 anni ! Da questo possiamo dedurre che i nostri antenati hanno acquisito questo concetto da circa 300.000 anni, cioé quando hanno capito di essere mortali. Questa epoca coincide con l’animismo (angoisse humaine oblige..). Va inoltre sottolineato che siamo i soli animali a sapere di essere mortali. Di qui nascono le nostre relative angosce, che possono pero’ -grazie ad una cultura scientifica ed una sana educazione- essere modulate in modo tale che non ci penalizzino più di tanto. Se cosi non fosse gli atei sarebbero tutti (o quasi) persone infelici o “disperate”….
P.S. Dobbiamo considerare la morte come un avvenimento benefico e indispensabile nella prospettiva evolutiva. E, se non esistesse, dovremmo inventarla………
@Bruno
Devo purtroppo ripetere che fin dalla nascita, il mondo del bambino è strutturato dalla gente, animali e cose che lo circondano. Nessuna rappresentazione mentale precede la percezione di una sedia, un cane, un gatto ecc…Senza il sistema di informazione culturale, il programma genetico resta lettera morta ! In altre parole, senza scambi, senza imitazione possibile, il cervello recente (neocorticale) non si sviluppa, l’uomo è all’opposto di una formica, sa poco e deve imparare molto. E questo lo fa -o subisce- durante tutta la vita !
–Aggiungo che sensa scambi culturali -dalla nascita in poi- il bambino non puo’ parlare spontaneamente !! poiché l’idioma (e non solo) fa parte dell’acquisito ! NON dell’innato. Le PREDISPOSIZIONI (determinismi genetici) culturali umane sono innate, qui non ci sono dubbi, ma non dobbiamo dimenticare che la cultura è un fenomeno EPIGENETICO -cioé trasmesso- e NON innato come certi credono ! In altre parole si nasce con un cervello cognitivo “vuoto”, a “riempirlo” sono tutte le persone che interferiscono con lui dalla nascita in poi. E come diceva Luca Cavalli-Sforza « I geni non controllano la cultura : la determinano solo nel senso che controllano gli organi che la rendono possibile»
NB: Cito un penoso -e non unico- caso storico accertato : un bambino sin dalla nascita è stato letteralmente messo in un pollaio (sic). Era solo nutrito, ma nessuno ha interferito verbalmente con lui. Quando è stato scoperto dalle autorità aveva (se non vado errato) circa 7 anni; NON parlava e non era in grado di capire chi gli parlava, ma sapeva imitare le “voci” delle galline !!! inoltre si comportava accovacciandosi ecc…come i polli, suoi unici compagni durante questo periodo. –L’idea o concetto di un dio qualsiasi NON è innata come molti ritengono ! L’uomo è solamente geneticamente predisposto -come in qualsiasi tipo di cultura- a credere ma anche non credere in Dio !
NB La penosa esperienza del ré di Prussia cosi come i bambini di certi orfanatrofi di Ceausescu e diversi altri casi storici cosi come certi studi accademici, confermano ampiamente quanto detto.
Vorrei inoltre ripetere che prima di circa 300.000 anni fa, la nostra astrazione mentale non superava a quella di un bambino di 5-6 anni attuale. Dopo questa data -che coincide con la sepultura dei morti- il nostro encefalo (corteccia corticale) ha evoluto : la cognizione mentale ha evoluto andando -progressivamente- ben oltre ben oltre 5-6 anni. Oggi sappiamo che un bambino NON conosce il concetto della morte prima di circa 5 anni ! Da questo possiamo dedurre che i nostri antenati hanno acquisito questo concetto da circa 300.000 anni, cioé quando hanno capito di essere mortali. Questa epoca coincide con l’animismo (angoisse humaine oblige..). Va inoltre sottolineato che siamo i soli animali a sapere di essere mortali. Di qui nascono le nostre relative angosce, che possono pero’ -grazie ad una cultura scientifica ed una sana educazione- essere modulate in modo tale che non ci penalizzino più di tanto. Se cosi non fosse gli atei sarebbero tutti (o quasi) persone infelici o “disperate”….
P.S. Dobbiamo considerare la morte come un avvenimento benefico e indispensabile nella prospettiva evolutiva. E, se non esistesse, dovremmo inventarla………
Ma perchè parliamo di qualcosa che arriva dall’evoluzione ed è innata nei neonati, e quindi nei bambini. Non qualcosa relativo agli adulti (in senso biologico).
Quando si parla di consapevolezza, si parla di qualcosa che arriva dopo la fanciullezza, quando si cresce e si acquisiscono esperienze. La consapevolezza viene costruita, per forza di cose, al di sopra degli istinti inconsapevoli; ergo, la paura della morte, con relativa costruzione di un’anima universale chiamata dio, poggia sulle fondamenta dell’istinto inconsapevole a credere in una specie di animismo particolare, dove si allocano spiriti, “animazioni”, alle cose.
Il libro di cui parlavo, spiega come siano stati eseguiti dei test sui bambini, anche molto piccoli, e come questi test abbiano dimostrato che, prima ancora di una fede consapevole costruita, esista una tendenza, un istinto, che va nella direzione non proprio di “credere”, ma di allocare qualcosa di animato nell’inanimato. E’ ovvio, poi, che crescendo e diventando adulti, o si continua nella direzione animistica e si diventa religiosi, oppure, si comprende che certe tendenze istintive sono perfettamente reprimibili e ridimensionabili con la ragione. A questo punto, allora, certamente, la religione diventa conseguenza della consapevolezza, ma non bisogna trascurare il fatto che prima di tale consapevolezza c’era una fase istintiva che portava in quella direzione.
D’altronde, la scienza ci dice sempre qualcosa che va contro l’istinto o il cosiddetto “buon senso”, che è da prendere con le molle. La mia frase preferita resta infatti il buon senso ti dice che la Terra è piatta: la scienza ti dice che è rotonda.
@ Giorgio
E va bene, non ci intenderemo mai.
Ancora una volta e in sintesi: questa consapevolezza esiste solo come condizionamento sociale – come mi pare di aver capito – o semplicemente perché l’uomo (certo quando raggiunge l’uso della ragione) la può verificare continuamente? Che cosa è più certo, come ripete il senso comune, della morte sia pure ‘pensandola’ in modo diverso in culture diverse? Io credo – come ripeto anche in altri interventi – che, sia pure evolvendo (cioè trasformandosi, non necessariamente migliorando) e quindi assumendo connotazioni sempre diverse, sempre diversi modi di ‘utilizzarla’, questa consapevolezza c’è ancora. Perché ancora la condizione umana è quella che … o, se si preferisce, perché la specie questo esige (ma qui si entra in un altro ordine di idee)
@ Alessandro
“P.S. Dobbiamo considerare la morte come un avvenimento benefico e indispensabile nella prospettiva evolutiva. E, se non esistesse, dovremmo inventarla………”
Non preoccuparti l’uomo è stato in grado benissimo, come lo è tuttora, di ‘inventarla’ :).
Se mai è la specie che dovrebbe preoccuparsi perché questo stesso uomo è ora in grado, avendone elaborato i mezzi concreti, di farla sparire dalla faccia della terra proprio come specie..
Società atee già tentati gli esperimenti ad esempio in Messico dove alcune regioni furono bonificate senza preti i risultato la chiesa Messicana è viva.
Appunto!
Se avessero fatto il lavoro per benino adesso il Messico sarebbe la Svizzera… ;cool:
@Enrico
Ero sicuro che saresti intervenuto ad m.inchiam. Ti sei fermato al titolo, vero?
In compenso, la tua grammatica e deceduta, proprio.
Un esempio di bonifica :
“Io Galileo, fìg.lo del q. Vinc.o Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Emin.mi e Rev.mi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l’eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la S.a Cattolica e Apostolica Chiesa.
[…]
Giuro anco e prometto d’adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono dà sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate.
Così Dio m’aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani.
Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633. Io, Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria.»
Se adesso la legge monterà su una filippica…
Pap Ufficiale: Sociedà “a-tea”? Para me en certe naziones, como l’Enghilterra, es più probabile che ce sarà un Sociedà “a-coffee”. Ah ah ah ah ….. Cosa, cosa estai faciendo?
Segretario: Sto telefonando al Papa Emerito per vedere se ci ha ripensato.
Pap Ufficiale: Brutto enfamon, tu non aver sienzo de le umorismo!
….“la propensione alla fede, o meglio, alla credenza nello spirituale, nell’anima, è veramente qualcosa di innato”…..
@Giorgio
Posso chiederti su quale fonti scientifiche accademiche riposa questa tua affermazione, con eventuali esempi di studi neuropsicologici (degni di questo nome) accertati ?
Concordo. Penso che i riferimenti all’evoluzione, (1) in questo contesto, siano magari affascinanti o frutto di simpatica fantasia, ma inutili se non devianti. Qui si parla di basi storiche e attuali per l’organizzazione di una società atea. (1)Bibliografia: J.N.Thompson :Relentless evolution. University of Chicago Press 2013; – G.P.Wagner: Homology, Genes and Evolutionary Innovation, Princeton University Press 2014
@ faidate
Rivolgo anche a te la domanda rivolta a Pendesini, sia pure in forma diversa: perché ti risulta così fantasioso (sia pure simpaticamente) tirare in ballo l’evoluzione quando in essa compare ad un certo momento ciò che (opinione discutibile, certamente, ma non credo liquidabile solo con citazioni di vari studiosi) sta alla base delle religioni, cioè l’esigenza di ‘superare’ una condizione umana della precarietà della quale si ha consapevolezza?
‘Fantasioso’ (ma in ogni caso non proprio ‘affascinante’ :)) sarà tirarla in ballo nel modo in cui lo faccio io, non ne discuto… non il tirarla in ballo – una volta così intesa – proprio in relazione alla ‘organizzazione della società atea’.
@Bruno
Probabilmente anche un’ipotesi sulle forze che governano l’aggregazione delle molecole biologiche è alla fine importante per ricostruire il perché della tendenza di alcuni esseri umani a costruirsi una fantasia divina, e altri a negarla, ma nel contesto dell’articolo della redazione mi sembrerebbe un po’ sproporzionata. Forse perché, mentre decine di studiosi dell’evoluzionismo ricercano per anni come possa formarsi l’ala in una delle 920 diverse specie di pipistrelli e in cosa differisca il meccanismo e la spinta evolutiva rispetto a quello che ha portato l’ala agli uccelli, per le costruzioni mentali, argomento leggermente più complesso, qualunque dilettante, io per primo, ne parla liberamente anche quando non serve.
Gualerzi
Anche l’istituto della monarchia è un fenomeno avvenuto nel corso dell’evoluzione ed è durato per millenni, eppure oggi mi sembra in netta minoranza, cioè non c’è niente d’innato nell’uomo verso la monarchia.
Non metto in dubbio che per una parte della popolazione si sia sviluppata l’esigenza religiosa frutto di una determinata percezione della realtà nel corso dell’evoluzione, ma sono convinto, visto il comportamento storico ed anche attuale, che l’abbia poi imposta agli altri creando strutture ed imprinting per poterla diffiondere e perpetuare e cercando di alimentare bisogni, cioè di crearsi dei clienti.
Anche l’antisemitismo è una sovrastruttura culturale creata nei secoli e solo oggi in declino proprio perchè combattuta, cioè non è niente di innato.
Contesto sempre l’idea che vi siano comportamenti generalizzati nell’uomo, ma come si può vedere in un mondo libero sono molto variabili, sia su base culturale che su base individuale.
@ faidate
@ RobertoV
Evidentemente continuo ad esprimermi male… o forse non capisco bene le critiche che mi vengono mosse.
Quando parlo di evoluzione intendo semplicemente riferirmi ad un momento (quando – per ragioni che adesso non sto qui a spiegare – a mio parere non lo sapremo mai) della stessa in cui compare una coscienza, cioè (ormai a forza di ripeterlo mi esce spontaneamente dalla tastiera :)) la consapevolezza del destino che attende ciascuno come individuo. Da ciò – a mio parere, ma non solo – ha preso forma la cultura religiosa o, come preferisco dire, il pensiero magico-religioso tendente ad esorcizzare questo ‘destino’. Questa consapevolezza esiste ancora? Nonostante tutte le trasformazioni che l’evoluzione ha prodotto nel nostro cervello (trasformazioni; certamente sempre maggiore complessità; non necessariamente però evoluzione nel senso di miglioramento), esiste ancora e ancora alimenta il pensiero magico-religioso, che non necessariamente è espresso solo dalle religioni istituzionalizzate, storiche, ma anche in tanti altri comportamenti dei quali ho ripetutamente parlato. In sostanza in tutte le forme di fideismo.
Naturalmente l’uomo ha reagito in vario modo di fronte a questa consapevolezza, naturalmente ha cercato in vario modo di organizzarsi il più possibile razionalmente per uscire dalla condizione di ‘homo homini lupus… ma c’è veramente riuscito? Non credo proprio, se misuriamo questo ‘progresso’ con l’effettivo superamento di una condizione di violenza autodistruttiva supportata ora da strumenti di distruzione sempre più sofisticati. Sviluppo c’è stato, e straordinario … ma bisogna nei limiti del possibile fare in modo che l’umanità ne possa veramente godere, il che fino a quando l”homo homini lupus’ la farà ancora da padrone nei rapporti umani, si avrà appunto, sviluppo, non progresso.
E in questo quadro credo che l’ateismo, la cultura atea, sia l’unica in grado – a certe condizioni più volte anche qui richiamate – di contrapporsi a questo pensiero magico-religioso.
Non chiedo naturalmente di trovare senz’altro consenso, ma spero di essermi spiegato in modo comprensibile.
Il libro di Girotto, Vallortigara e Pievani, di cui parlavo prima, e dove riportano risultati di test.
@Giorgio
1° –La nozione di « programma genetico » valido per i batteri perde la sua pertinenza quando si applica all’encefalo umano ;
2° –L’organizzazione di ogni cervello dipende in gran parte dalla storia e del contesto del suo sviluppo. Il patrimonio genetico dell’uomo è troppo povero per realizzare la straordinaria ricchezza delle sue connessioni sinaptiche !
3° -Negli esseri umani, la maggior parte delle connessioni sinaptiche non sono ancora stabilite quando nasce. L’ipermaturazione è innata, ma le connessioni sinaptiche non lo sono. Lo sviluppo del cervello non obbedisce ad alcuna automazione, a nessuna fatalità o destino (se non altro a quella del ambiente sensoriale, emotivo o culturale). Sono le attività effettuate che modificano la struttura del cervello, grazie alla sua elevata variabilità e plasticità. Più le esperienze si accumulano, più si avvera che tutto avviene nella prima infanzia, come se non ci fosse nessuna distribuzione innata delle aree cerebrali : queste sono utilizzate dalla prima funzione che le occupa.
In altre parole se non c’è dubbio che gli animali sono dotati alla nascita di una conoscenza sostanziale innata, portati ad esempio sugli alimenti commestibili o predatori dei quali avere paura, l’antropologia strutturale implica presumere che gli esseri umani, senza tener conto della loro capacità di astrazione strutturale, non sanno nulla alla nascita e devono imparare tutto quello che riescono a imparare attraverso la loro interazione con il mondo e con i conspecifici. Questo non esclude naturalmente che altre predisposizioni possano essere unicamente umane. Quello che ci lega agli altri animali, è semplicemente il fatto -molto générale- di avere delle predisposizioni
P.S. Da uno studio di una tribù amazzonica in Brasile (il Pirahã), effettuato da Daniel Everett, risulta che questo gruppo etnico (circa 300 persone), non ha nessun concetto di dio o mito della CREAZIONE !
@ alessandro
“P.S. Da uno studio di una tribù amazzonica in Brasile (il Pirahã), effettuato da Daniel Everett, risulta che questo gruppo etnico (circa 300 persone), non ha nessun concetto di dio o mito della CREAZIONE !”
Ma ciò che cercherei io di verificare, non è tanto se hanno un concetto di dio o della creazione, quanto in che modo si pongono nei confronti della morte… della quale immagino – quale sia il loro livello di sviluppo intellettivo – siano al corrente. Nello specifico verificherei se hanno un qualche comportamento – rituali, sacrifici, o forme di arte simbolica – per esorcizzare, direttamente o indirettamente, consapevolmente o meno, la morte. Nel qual caso ci troveremmo di fronte ad una forma di religione, intesa come manifestazione dell’esigenza di andare ‘oltre’ la condizione umana. Di ‘vedere’ aldilà dei suoi limiti. Di fare esperienze in qualche modo alternative… o comunque ‘altre’… rispetto a quelle che sono necessarie per la loro sopravvivenza
Il livello di sviluppo intellettivo sarebbe quindi da mettere in relazione ai modi di tali esorcismi, non alla loro funzione.
Infatti, il punto è che abbiamo una predisposizione innata a vedere “animazione” nelle cose inanimate, e non che abbiamo una programmazione per la religiosità.
Questo è diverso dall’affermare, come peraltro alcuni fanno, che nel nostro genoma ci sia un “gene della religiosità”.
“Come sarà la società “atea”?”
Rumori di cantiere: Tump…tump…tump…
Carpentiere: Aiah…. mi sono schiacciato il pollice…. porco caso!
Collega: Lo sai che non sopporto le bestemmie….
Trooppo bella! 🙂
🙂
Il mio imbarazzo personale di ateo – ieri è morta mia nonna, che ho assistito con mia madre finché è stata cosciente e di cui domani si terranno i funerali cattolici in chiesa – sembra “ominosamente” in linea con queste riflessioni – intendo dire che la componente “new age” posta in sottotono parrebbe quasi (anche se, come molti di voi, non lo credo) rivelare in questa curiosa coincidenza “un segno del destino”…
Mi spiego meglio: convinto a non essere un ateo passivo – il termine “apateismo” può infatti leggersi non solo come apatia nei confronti del…teismo, ma anche come fiacchezza rispetto alla propria non credenza, ovvero come “apat-ateismo” –; persuaso, insomma, che sia eticamente giusto e stilisticamente onesto oppormi alle convenzioni e non partecipare al così detto rito a costo di dispiacere ai miei familiari – più cattolici “del panettone a natale” che altro, ma, comunque, in qualche modo legati alla tradizione –rivendicando il mio diritto di ateo… praticante e “sbattezzato” senza accettare per quieto vivere che un controllore del traffico in entrata e in uscita dall’esistenza (leggi: prete) mi raccontasse favole sulla vita e sulla morte in un’ora per me triste (e, quindi, seria), ho in effetti sentito il bisogno di parlare con persone che la pensano come me sul tema dell’unico bonus vitale che abbiamo.
Che significa questo? Che è vero: l’esigenza di ritualizzare, di condiviere socialmente le tappe essenziali di un’esperienza umana individuale è comune e diffusa. Ma che fare quando il monopolio di questo aspetto è saldamente nelle mani della chiesa cattolica, un’organizzazione con la quale la mia coscienza m’impedisce di essere connivente?
Piegarsi a sorbire lo show di un emissario del potere che meglio garantisce l’arretratezza culturale e morale dell’Italia semplicemente “per non farla tanto lunga, perché una messa passa in fretta e poi è inutile fare i Don Chisciotte in solitario” oppure sentirsi dalla parte del giusto e, proiettati verso il futuro, testimoniare che un altro mondo è possibile… ma su questa terra? – l’unica, per inciso, che abbiamo.
Su un simile sfondo personale, voglio appoggiarmi ad alcuni punti chiave del discorso proposto per costruire il mio in forma dubitativa.
1) “Favoriscono la religione il senso di autorità verso figure di ‘culto’ e la tendenza a conformarsi alle norme sociali”. Certo. La tendenza è chiara. Ma contrastarla ha qualche senso o è una battaglia persa? Meglio sorbirsi una tiritera insensata e due strette di mano di circostanza con qualche frasetta ad hoc sul fatto che “siamo tutti nelle mani di Dio” o rischiare di passare per mosche bianche a buon mercato? E, soprattutto, quanto tempo ci vorrà prima che si diffonda, per esempio, la cultura delle sale del commiato se tanti, troppi atei, continuano ad essere “apat-atei” con tanta quiescenza?
2) “Tra i motivi dell’abbandono della fede c’è semplicemente questo: tante persone ‘non hanno più bisogno del suo conforto’“. Anche questo è un dato di fatto. Ma che succede quando le convenienze o una certa pigrizia o sfiducia rallentano tanto efficacemente la relativa presa d’atto e/o la volontà di comunicare agli altri una tale impressione? E, in fondo, ha senso comunicarla? Vale la pena?
3) “I danni causati da disastri ambientali, cambiamenti climatici e altre cause tali da incrinare le sicurezze delle nostre società potrebbero anche invertire la tendenza laica”. Magari non è escluso che accada il contrario, ovvero che l’impatto dell’inevitabile e l’urgenza di priorità utili a separare l’indispensabile dall’accessorio, la sostanza dal manierismo, il nucleo delle cose dal “visto fare e sentito dire” stancamente imitato spingano più persone a reagire come pare sia successo durante la peste nera del 1348, quando le favole dei preti parvero vacillare sotto l’impatto della realtà, nella coscienza della brevità di una vita che si poteva forse vivere senza pretese sovrumane né complessi di colpa tesi a fantomatiche ricompense future. Non è escluso e possiamo augurarcelo.
4) “Dobbiamo pregare o combatterne le cause?”. Direi la seconda. Coi fatti, con l’esempio, un po’ più di coraggio e meno paura di restare soli.
Concludo con un pensiero rivolto all’evocata “ostilità” degli atei verso la religione come stato mentale. Per quanto mi riguarda, il problema non è mai cosa si cerca oltre il limite – anche se tenderei a prendere più sul serio quanto i cristiani che la professano non sembrano considerare davvero: l’umiltà (quella, ad esempio, di un cerchio chiuso a disegnare la vita dell’uomo come di ogni altro animale, tanto per non montarsi troppo la testa e non pretendere favoritismi di specie in nome di non si sa cosa).
Il nodo non è se e quanto si tenda a esulare da limiti tangibili: è il fatto che un ordine stabilito, un sistema di potere capillare, articolato in leggi scritte e non scritte – in Occidente, soprattutto queste ultime, ma, purtroppo, non solo – renda così odioso a noi atei il ruolo dell’”al di là nell’al di qua” da rendere poco simpatici… i collaborazionisti (quelli che non contrastano le religioni organizzate per non avere grane né in pubblico né in privato).
Bella analisi 🙂
@MassimoP
Ho letto solo ora il tuo intervento e l’ho trovato estremamente interessante… oltre che per il modo in cui descrivi gli ‘imbarazzi’, come li chiami, che incontra inevitabilmente un ateo non disposto ad essere un ‘apat-ateo’ (non conoscevo questo termine… l’hai inventato tu?)… perché, più in generale pone la questione del come essere ‘atei’ (le virgolette della redazione credo che si dovessero intendere sostanzialmente laici)in relazione alla società in cui viviamo. Premesso che si può giungere all’ateismo (o esserlo, come dire, ‘naturalmente’, senza tante complicazioni esistenziali ; personalmente ne dubito, ma sicuramente non faccio testo, né voglio farlo) attraverso i percorsi più diversi, mossi dalle motivazioni più diverse… credo – in questa sede (frequento questo blog ormai da tanti anni proprio per questo) – sia utile confrontare il proprio modo di essere atei. Anche (e soprattutto in questo caso per rispondere alla sollecitazione del tema proposto) con riferimento all’ipotesi di una società ‘atea’.
Intanto – come espresso confrontandomi con gmd85 – considero questa ipotesi, certamente un’utopia, ma come per tutte le utopie prese per il verso giusto (utopico è pretendere di trasformare un’ipotesi in realtà storica; non utopica, molto reale, è però l’esigenza che esprime) serve come orizzonte entro il quale muoversi, come guida cui affidarsi.
Per venire al dunque. Si può testimoniare il proprio ateismo in un confronto personale, sulla base di esperienze personali, cercando, nei limiti del possibile, di stabilire un rapporto di reciproca fiducia nel senso di ritenersi ognuno comunque in buona fede… ma io credo che questa ricerca di un rapporto nei limiti del possibile basato sulla buona fede, serva anche per testimoniare il proprio ateismo in relazione al ruolo che l’ateo ritiene di dover svolgere nella realtà sociale nella quale vive. E’ ovvio che in linea di principio occorrerebbe fare riferimento a tutte le cause economiche, politiche, ‘biologiche’, culturali ecc. che hanno prodotto una certa società per ‘dimostrare’ come storicamente i ‘mali’ di questa società sono dovuti a tanti fattori, ma non certo all’ateismo come tale… ma in questo modo credo che ci si imbatterebbe, come ci si imbatte, in due ostacoli insormontabili:
a – sono tante e tali le cause che hanno determinato gli eventi storici che, se a guidarne l’interpretazione finisce per essere l’ideologia fideisticamente intesa si può sempre trovare qualcosa che avalli la propria ideologia. Anche qualora (questa è una polemica tenuta da me sempre in piedi con tanti amici atei) si pretendesse di ‘dimostrare scientificamente’ – come se la storia fosse una scienza esatta – la ‘verità’ assoluta di una certa interpretazione. Lo può essere nel particolare… ma c’è sempre lì pronta per essere strumentalizzata la assolutoria ‘contestualizzazione’;
b – altro ostacolo, se non proprio insormontabile, difficile da sormontare, è l’illusione di essere, in quanto atei, vaccinati contro ogni fideismo solo perché si combatte contro quelli più evidente e più alienanti, cioè quelli religiosi… offrendo il destro al credente di ribattere (accusa ricorrente non sempre infondata in certi casi) che ‘anche l’ateismo è una religione’.
Allora, che fare? In sostanza l’ho già anticipato: evitare pubblicamente un confronto basato sulla pretesa di ‘averla vinta’ con l’avversario (che può essere sprovveduto ma anche dialetticamente abilissimo) dimostrando la superiorità delle proprie tesi: non credo si sia mai dato il caso che in confronti di questa natura uno dei contendenti abbia cambiato parere: o si risolve tutto in pura accademia (tipo ‘cortile dei gentili’), oppure si tratterà del classico dialogo tra sordi. Serve invece testimoniare come i fideismi- di qualsiasi natura, COMPRESO QUELLO ATEO – hanno prodotto e sempre produrranno solo fanatismi e conflitti dai quali nessuno uscirà veramente vincitore.
In sintesi? Riconoscere che il problema è prima di tutto culturale e proporre la cultura atea come quella più sensibile, umanamente, esistenzialmente, sensibile a questi problemi. Ogni indispensabile iniziativa concreta presa ESPLICITAMENTE sulla base die questi presupposti consentirebbe ad esempio a UAAR di non confondersi – o comunque di mantenere una propria precisa identità – con le tante altre associazioni laiche.
“Piegarsi a sorbire lo show …” tu dici.
Secondo me un conto è sorbirsi, subire una funzione religiosa nei panni degli attori protagonisti, altra cosa è partecipare a tali funzioni in un’ottica di rispetto e tolleranza e magari amicizia verso le credenze altrui.
Personalmente non trovo niente di strano, anche nella posizione di un convintissimo ateo, a partecipare a matrimoni secondo rito cattolico, matrimoni di testimoni di Geova, funerali religiosi, ecc., Anzi, siccome poi parto dal presupposto che, almeno per quel che mi riguarda, le amicizie si scelgono non certo sulla base di una totale affinità di modi di pensare, io credo che un amico potrebbe giustamente risentirsi se tu non partecipi a quel tale avvenimento perchè prevede la funzione religiosa. Anche perchè – lo possiamo vedere ai funerali e ai matrimoni – nessuno di obbliga a unirti alle preghiere o a fare segni di croce.
Poi non so, le sensibilità sono varie in queste questioni.
Engy
“Secondo me un conto è sorbirsi, subire una funzione religiosa nei panni degli attori protagonisti, altra cosa è partecipare a tali funzioni in un’ottica di rispetto e tolleranza e magari amicizia verso le credenze altrui.”
C’è un problema, però. E’ vero che nessuno ti obbliga a farti segni della croce a matrimoni o funerali, ma quando sento il prete che dice la predica, il cui succo è che solo con Dio si può vivere una vita degna di essere vissuta, cos’è questa se non un’offesa a me che di Dio, Allah, mostro di Lock Ness, Bigfoot ecc. ecc. faccio volentieri a meno?
Tu mi dirai: E vabbè, è un prete, che ti aspetti? Il fatto è che nessun prete dirà mai che la religione è importante, che credere in Dio è bene, ma se ne può fare anche a meno, altrimenti la domanda sorgerebbe spontanea: “E allora tu (prete) che ci stai a fare? Perchè allora dovrei venire in chiesa?”
Questo un prete non te lo dirà mai, e quindi continuerà imperterrito a sminuire o considerare tormentato, inadattato, infelice, chi sceglie di vivere la propria vita senza religione. E io dovrei andare in chiesa a sentire uno che “mi fa la predica” senza potermi alzare e mandarlo affan***o?
Non solo, ma mi immedesimo in MassimoP, quando moriranno i miei genitori, immagini me affranto che dovrò andare in chiesa a sentirmi dire che mia mamma/padre è in un posto migliore e mi guarda di lassù? Se a qualcuno questo consola, a me mi fa solo girare le scatole. Quindi (e questo è un argomento che affronterò coi miei) se alla morte di un genitore l’altro mi vorrà vicino in chiesa per sostenerlo, lo farò e sopporterò lo strazio per amore suo. Ma alla morte dell’altro non verrò in chiesa al suo funerale, spiegherò il mio comportamento e i parenti che non capiranno possono andare a quel paese. Inoltre, dato che sia io che mio fratello siamo atei, almeno con la nostra famiglia la chiesa ha finito di succhiare soldi in messe e donazioni. Non verranno dette messe per i miei (quando non ci saranno entrambi), io lascerò un testamento in cui scrivo che non voglio avere un funerale in chiesa e mio fratello pure. E tagliamo la testa al toro.
Per una volta tanto sono d’accordo con lei.
Quando si è giovani si tende a vedere la vita nell’ottica di bianco/nero, ma poi ci si rende conto che la nostra vita sociale è fatta e richiede vari compromessi.
Non è sicuramente un funerale o un matrimonio il momento adatto per contestazioni, ma sono altre le sedi per cercare di far cambiare certe abitudini consolidate.
Tanto più che si fa presenza fisica per le persone care senza partecipare al rito. E personalmente ha avuto l’effetto di rafforzare ulteriormente le mie convinzioni al vedere il rito ed al sentire i discorsi vuoti e banali: inoltre è sempre interessante osservare quanto l’adesione al rito sia solo di una minoranza dei presenti.
Diverso il discorso quando siamo noi a proporre riti in cui non si crede che potremmo tranquillamente non fare.
Una delle rare volte in cui concordo con e.n.g.y.
Ma concordo in pieno con Gianluca sull’atteggiamento e sull’aria che di solito si respira a tali eventi.
Sono molto contenta, Roberto V, davvero 🙂 E anche per me sono e devono essere altre le sedi per contestazioni riferite al tema.
Gianluca:
dicevo appunto e comunque che le sensibilità sono diverse, forse pure lo spirito di sopportazione, e magari l’amico o il parente, una volta che con garbo gli spieghi la cosa, poi non se la prende neanche.
C’è poi pure da dire che non tutti i preti dicono stronzate o si perdono in trionfalismi vari e personalmente sono sempre molto curiosa.
Secondo me non si tratta di show, e nemmeno di considerare le banalità che può dire, e in genere dice, un prete. Si tratta di comportarsi da non credente, magari anche entrando in chiesa alla funzione, ma con uno scopo e un atteggiamento che stiano al di sopra di quello del cattolico medio. Mi spiego con un esempio che mi porto nel cuore.
Quando è morto mio padre, essendo stato lui credente, ma non filoclericale, chiesi personalmente al prete di tenere una cerimonia ridotta e semplificata. Gli spiegai che mio padre aveva avuto un rapporto tutto suo con il suo dio (come d’altronde tutti quanti, in fondo), che prescindeva dal clero. Niente di strano. Io partecipai, senza fare alcun segno della croce, e senza nemmeno ascoltare gli interventi del prete. Prete che, comunque, durante la funzione, su richiesta di un caro amico di mio padre, fu educatamente interrotto. Questo amico di mio padre, che era uomo di grande eloquenza e signorilità, chiese ed ottenne di fare un intervento in memoria di mio padre. Va da sè che tale intervento risultava di qualità molto superiore di quello del prete.
Bene, quando un anno dopo morì questo amico di mio padre (non so e non mi interessa sapere se fosse veramente credente oppure no), fu portato da sua figlia in chiesa. Prima della funzione, andai dal prete e gli chiesi di poter fare un intervento, prima della funzione stessa (in modo da risultare completamente indipendente). Non ebbi alcuna difficoltà ad ottenere il permesso, e feci un intervento (mi tremava la voce, ma non era la chiesa, l’ambiente, era la situazione). Glielo dovevo: lui aveva parlato davanti alla bara di mio padre, ed io, se non avessi fatto altrettanto, sarebbe rimasto senza un analogo pensiero. Avevo anche avvisato sua figlia di quello che avrei fatto, e lei per tutta risposta mi abbracciò.
Non so che cosa sia poi accaduto in chiesa, e non mi interessa. Dopo il mio intervento, con un nodo in gola che mi impediva pure di respirare, me ne ero andato. Vorrei solo ricordare a tutti quanti che i propri cari hanno delle alternative alle cerimonie religiose, e sono le cerimonie laiche. Anche solamente un discorso di due minuti può essere una cerimonia nel vero senso della parola, e vi garantisco che tocca tutti i cuori.
Giorgio Pozzo,
molto bello quello che hai raccontato.
E ti posso dire, per quel che può valere, che nella mia parrocchia, dove negli ultimi tempi sono andata spesso per battesimi e matrimoni di parenti, l’intervento dell’amico o amica più o meno credente, è diventato quasi la norma.
E dal mio punto di vista (e forse in un futuro mondo perfetto) queste devono comunque rimanere occasioni di dimostrazione di reciproca tolleranza e desiderio di convivere pacificamente nelle diversità, e non invece un modo per mostrare una propria superiorità morale o intellettuale, nè da una parte nè dall’altra.
“….È anche vero che la secolarizzazione non comporta una meccanica vittoria del razionalismo….”
No, ma di sicuro lo favorisce.
“….Non abbiamo modo di sapere, non avendo la palla di vetro né la tendenza all’esaltazione, se un mondo più lontano dalla religione sarà migliore….”
Non possiamo saperlo con certezza, ma è probabile di sì, e non occorre la palla di vetro per immaginarlo.
…Peggiore, di certo, non sarà…
… ricchezza, uguaglianza, diritti delle donne, istruzione, aspettativa di vita, mortalità infantile, gravidanze precoci, diffusione di malattie veneree, tasso di criminalità, suicidi e omicidi.
Siamo sicuri che rispetto a questi parametri l`Italia sia messa peggio della GB? Dove si possono visionare i dati dello studio citato?
Non c’è scritto che Zuckerman si riferisca alla GB, innanzitutto. Sono dati piuttosto trasversali e sono convinto che le situazioni peggiori, in merito a determinati dati, si trovino nelle zone caratterizzate da povertà e basso grado d’istruzione, e mi riferisco anche ai cosiddetti slums e alle zone periferiche. Una visione laica della società può contribuire a risolvere certi problemi e per laica intendo, in questo caso, più pragmatica e scevra da inutili fidesmi, buonismi e via dicendo.
L’Italia? Meglio di altri e peggio di altri.
Sono dello stesso avviso di Alessandro. Non credo che l’uomo abbia un senso innato per la religione. Ciò che è innato nell’uomo è il bisogno di conoscere e quando questo bisogno non è appagato l’uomo si da delle pseudo spiegazioni che sono il fermerà della religione.
PS sto avendo problemi di connessione, mi dolgo per eventuali duplicati.
Ecco è finito da tutt’altra parte.
Infatti il nostro cervello “quando soffre”, spesso persiste nella ricerca di un significato, una trama, un senso, anche quando non esiste, ed è proprio in questi casi che commettiamo -intelligentemente- degli errori.
Ps il “fermerà” doveva essere il “seme”, maledetta tecnologia imperfetta 😆
Comunque vedo che hai capito il mio breve commento.
QUANDO ci sarà la società “atea”?
@Bruno
Quando scrivo « l’evoluzione biologica è potente e opportunista, ma non è ne intelligente ne istruzionista » faccio riferimento ai processi biologici, fisici, e chimici dell’evoluzione biologica, uomo incluso! Se cosi non fosse il « disegno intelligente » caro agli amici cattolici, potrebbe diventare una teoria scientifica in quanto confutabile !
Se l’uomo fosse « interamente » razionale, cioé se utilizzasse solo la corteccia frontale (sede della cognizione razionale) e non il cervello limbico (epicentro delle emozioni), gran parte di cio che accade di biasimevole nel mondo non avverrebbe !
Se fossimo dotati di una intelligenza superiore e qualitativamente raffinata potremmo svelare certi enigmi che per ora non siamo nemmeno capaci di formulare ! Potremmo probabilmente avere dei modelli matematici dell’Universo ben più raffinati di quelli che siamo in grado di produrre attualmente. Infine direi quasi con certezza che quello che evolve nell’umano non é la struttura cerebrale della quale dipende l’astrazione mentale (stabilizzata da circa 40.000 anni) bensi la scienza che pero’ dobbiamo considerare un evento « non naturale » bensi epifenomenale.
Dimenticavo : Il nostro cervello -l’organo più complicato della Terra- che ha fatto il nostro successo potrebbe causare la nostra perdita, semplicemente per il fatto che non ha le qualità ad oc per poter gestire le sue proprie creazioni !
@Alessandro
Una piccola precisazione: dici che ” il nostro cervello è l’organo più complicato della terra” Purtroppo (per fortuna?) ha questa limitazione: che questa misura (ovviamente relativa) se la dà da solo: come un giudice ad un concorso di bellezza, unico concorrente perché il concorso l’ha promosso lui, il quale dice: sono il più bello, sono un cervello!
Il vantaggio di essere l’unica specie con un cervello così sviluppato è anche quello di poterselo dire da soli.
Anche considerare un vantaggio quello di essere l’unica specie etc. è un po’ autoreferenziale. La cosa importante è esserne contenti.
L’avere un cervello tanto portentoso non ci rende più felici di
un meditabondo tricheco che passa la vita contemplando l’oceano. O no?
Anche il tricheco potrebbe essere convinto dell’incomparabile superiorità
del suo intelletto. E per quel che ne sappiamo, potrebbe essere vero.