Gli scout cattolici e le direttive anti-gay

Raffaele Carcano

Raffaele Carcano

La pubblicazione sul sito internet degli scout cattolici degli atti di un seminario (di studio) svoltosi lo scorso novembre  ha scatenato un autentico putiferio sull’organizzazione, e veementi proteste da parte del mondo Lgbt. Tuttavia, le direttive impartite da padre Francesco Compagnoni, assistente ecclesiastico del movimento scout cattolici, non rappresentano nulla di nuovo dal punto di vista cattolico.

Il religioso non ha infatti fatto altro che riprendere quanto sostiene il Catechismo in materia di omosessualità, ricordando che la definisce una “grave depravazione”, e che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Ovvio che, con queste premesse, un omosessuale non possa essere ritenuto in grado di fare il capo scout: del resto, la Chiesa non lo ammette nemmeno al sacerdozio. Anche laddove si invita, in presenza di “tendenze omosessuali dei ragazzi”, a parlarne con i genitori e a rivolgersi a un pedagogista, si è paradossalmente di fronte a un progresso rispetto a un passato in cui si mandavano i ragazzi dal sacerdote (o si invitava ad assestare qualche “sana” sberla ai bambini considerati effemminati, come ancora ha invitato a fare un pastore battista).

Un’organizzazione privata ha ogni diritto di darsi regole e direttive del genere, almeno finché non si violano diritti umani fondamentali. Le levate di scudi contro la Chiesa “omofoba” hanno quindi poco senso, in questo caso: sarebbe piuttosto il caso che tutti gli omosessuali prendessero finalmente coscienza che questa è la Chiesa cattolica, e ne traessero le conseguenze. È normale vivere liberamente la propria sessualità (e in questo caso è semmai “anormale” il celibato ecclesiastico), ma dovrebbe anche essere “normale” non voler far parte di un’organizzazione che ti considera un depravato. I gay e le lesbiche che continuano a volersi dichiarare cattolici e, anzi, pretendono di riscrivere il magistero ecclesiastico secondo i propri desiderata mostrano infatti di non conoscere né la dottrina, né il modo in cui si è formata, né gli stretti pertugi attraverso cui è possibile riformarla. Che, se non si fosse ancora capito, sono peraltro riservati ai soli papi.

Liberi dunque gli scout di darsi le regole che vogliono. Rimane tuttavia ancora una questione in sospeso. Come deve regolarsi, la pubblica amministrazione, nei confronti di organizzazioni che attuano, al proprio interno, pratiche discriminatorie?

Gianluigi Piras, assessore alle politiche giovanili del comune di Jerzu, non appena è venuto a conoscenza delle linee-guida degli scout cattolici ha emesso un provvedimento per negare spazi pubblici all’Agesci. Come si è visto, però, l’Agesci non fa altro che riproporre la tradizionale dottrina cattolica. L’intervento dell’assessore avrebbe dovuto essere, per coerenza,  esteso a ogni realtà organizzativa della Chiesa cattolica, visto che tutte devono condividere tale impostazione.

La vicenda non fa dunque che riproporre un antico dilemma: quanto si può essere tolleranti con gli intolleranti? Anche questo problema rimane un cantiere aperto per i laicisti impegnati. Ne vogliamo discutere?

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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