Cathia Vigato*
Mi frulla da qualche giorno un’atea idea. Non è certo tutta farina del mio sacco ma il frutto delle riflessioni su quanto ho appreso in questi “spericolati” anni di associazione nell’UAAR, presso il circolo di Venezia. Relazioni, conferenze, libri e letture, confronti con gli altri (atei-agnostici e non), il sito UAAR nazionale con le splendide pagine dedicate alle atee citazioni (che uso spesso come incipit per le news locali), la nostra rivista. In tanti dicono che la credenza darebbe una marcia in più, che sarebbe insomma un bell’aiuto per affrontare il mondo con tutte le sue realistiche sofferenze terrene: io non sono d’accordo. Secondo me la credenza, in special modo quella relativa ai monoteismi, abbruttisce notevolmente l’uomo e la donna, per dirla con i termini marxiani, li aliena e li mercifica rendendoli soggetti succubi di altrui e superiori volontà.
Anche la meditazione, presentata come panacea per la pace interiore, guarigioni e quant’altro, mi pare dovrebbe lasciare piuttosto spazio alla riflessione che non “stacca” dalla realtà ma è in grado comunque di far spaziare e rilassare la nostra mente. Per non parlare poi del senso del peccato, delle regole imposte senza alcun fondamento né morale, né etico, come il digiuno, la messa alla domenica, i riti, la verginità, l’astinenza, ecc. E i preti, potrebbero argomentare alcuni, non fanno forse del bene e non sorreggono le persone nei momenti critici con la loro funzione sociale?
Mah, rispondo io, è oggettivamente vero che attualmente i preti e la chiesa organizzano e gestiscono molte attività quali le mense per i poveri, la ricreazione giovanile, le cerimonie per i defunti e molto altro. Nel mio paese, ad esempio, è indubbio che la parrocchia si è appropriata di un ruolo centrale ed importante accogliendo nelle sue attività disabili fisici e mentali, persone ai margini della società, anziani soli, vedove in difficoltà.
Però tutte queste cose belle e “benefiche” potrebbe farle, se non lo Stato o i Comuni, qualche associazione non religiosa: con la stessa qualità e forse con più passione e cura, se solo avesse a disposizione i fondi pubblici erogati alla Chiesa. La secolarizzazione in atto ci regala qualche esempio: le scuole materne non sono più esclusivo appannaggio delle suore, il numero di matrimoni laici è in continua ascesa, alcune associazioni no-profit per il supporto ai disabili e ai malati non hanno alcun riferimento alla religiosità. Infine, per ciò che riguarda il concetto di “comunità”, che le parrocchie sembrano incarnare, penso che la stessa funzione potrebbe essere svolta dai quartieri attrezzati con le sale laiche autogestite dai cittadini e un po’ di denaro pubblico da sottrarre ai soliti noti (vedi il Concordato).
Ma la cosa che mi preme affrontare è proprio la serenità delle persone in generale e dei singoli in particolare. Una vita ed un’educazione scevra da religiosità è, per conto mio, molto più felice. Il cielo diventa azzurro e leggero, non pesa più come prima con quell’occhio indagatore sempre pronto a criticare e a condannare. La terra si colora di verdi germogli e non è più sinonimo di polvere e di morte. L’aria si fa tersa, da respirare appieno, fin dentro la pancia vicino al sesso, dove non c’è alcun demone. L’acqua diviene luogo per tuffi di poesia. La responsabilità, l’etica, la giustizia sono nostri frutti – anche la mela – e sta a noi farli crescere bene. Il male, le sofferenze nel mondo sono da affrontare con le nostre forze e non con le preghiere. Insomma, ecco l’atea idea per chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui con queste righe scontate: “l’ateoterapia”. L’ateismo e l’agnosticismo come terapia per tutte le persone un po’ instabili, infelici, depresse, bisognose di un poco di aiuto. L’ateoterapia, dove non si prescrivono farmaci magici e “non si manda nessuno all’inferno”, dove si parla, ci si confronta, per vivere, tutti, un po’ meglio senza questa “benedetta” religione che ci ammorba il pensiero e la vita.
* alias Cathiatea, iscritta e attiva presso il Circolo UAAR di Venezia.