Nell’immaginario popolare musulmano, l’ateismo è il sintomo della decadenza occidentale. Ma anche l’Islam ha avuto i suoi dibattiti, i suoi califfi illuminati. Poi soppiantati dal pensiero unico.Talvolta le domande che si pongono in una società ci informano sulla società che le pone molto più di quanto possano fare le risposte dell’interlocutore, individuale o collettivo che sìa. Nell’ambito della storia della fotografia, alcuni anni fa la studiosa francese Francoise Coppo affrontò nella sua tesi di dottorato le problematiche veicolate dalle fotografie scattate dal contingente francese – formato da ragazzi ventenni – che fra il 1958 e il 1961 combatté la guerra d’Algeria. La studiosa notò che quasi tutte le fotografie erano riconducibili a un unico tema: raramente si notava un palazzo o un quartiere, ma appariva sempre la stessa icona, quella dell’arretratezza – contadini arabi con in mano un aratro medievale, beduini, donne con il velo – che rappresentava la somma delle rappresentazioni, vere o false, che la società francese costruiva o distruggeva. Le domande che oggi assillano il mondo musulmano non sono molto mutate, ma si evolvono e si riformulano in un nuovo contesto: quello delle idee e dei paradigmi sui quali un immaginario sociale e una cultura pensano di definirsi e di misurarsi nei confronti dell’altro. E’ facile elencare la lunga scia di queste contrapposizioni, vere o false, sulle quali alimentiamo lo scontro di civiltà: libertà/tirannia, emancipazione/ discriminazione, vita/morte, credenti/non credenti, atei/non atei. Ognuno di questi paradigmi diviene il riferimento a partire dal quale il discorso dovrà definire il suo punto di arrivo e la sua forma; a partire da ciò sarà possibile enumerare le forze presenti, la capacità di confrontarsi, e soprattutto formulare una risposta, la cui funzione è definire ciò che è bene e ciò che non lo è, ciò che è possibile e ciò che è impossibile, ciò che può essere cambiato e ciò che è irrimediabilmente diverso. Si fissano così dei punti all’orizzonte; ma la loro fissità non è e non può essere che un miraggio di fronte all’immenso mare dei cambiamenti che non sempre sono percepibili ad occhio nudo: proprio come una nave che scompare all’orizzonte scompare solo alla nostra vista e non nella sua reale presenza sull’oceano,
La frontiera delle credenze
Avviene così anche per la questione dell’ateismo. Nell’immaginario popolare del mondo islamico, e non solo, esso è visto come il punto di arrivo di una modernità che ha finito di essere espressione di un’emancipazione dell’uomo, una modernità interpretata come la fase discendente dell’occidente, conseguenza di un materialismo prodotto dalla “morte di Dio” nel senso nietzschiano della parola, come se le società musulmane non fossero anch’esse materialiste. In quest’ottica la questione dell’ateismo è elemento centrale di una visione quasi gerarchica dei rapporti tra civiltà: la perdita di Dio annuncerebbe il declino, il tramonto dell’occidente, mentre il Dio protettore dei credenti stenderebbe su di essi la sua protezione di fronte al degrado di una società che ha dimenticato Dio, o che confonde Dio con il consumismo e l’edonismo devastante di un mondo postmoderno. Così una specie di frontiera simbolica dividerebbe il mondo islamico e l’occidente; una frontiera delle credenze, frontiera tra un mondo in cui Nietzsche ha scandito la morte di Dio come l’apertura di un enorme precipizio, e un mondo in cui gli esseri umani con il loro Corano affermano la propria salvezza. Ma possiamo ridurre la complessità delle nostre civiltà a contrapposizioni così sterili? Non posso parlare dell’ateismo senza ripercorrere la storia della non-credenza nel mondo islamico; e non per semplice contabilità o simmetria fra le culture, perché sono ben consapevole delle differenze – reali o, a volte, inventate – fra noi e gli altri. Così, paradossalmente, guardare l’ateismo a occidente significa per me immettermi nella ricchezza del dibattito che il mondo islamico ha conosciuto secoli fa, di cui rimane oggi purtroppo solo il sentimento di aver perso un mondo. Di qui la difficoltà, se non a ricostruirlo, a pensarlo, filosoficamente e poeticamente.
I filosofi atei di Baghdad
Qualche mese fa ebbi una discussione con un caro amico, uno studioso degli arabi cristiani che insegna all’università Saint-Joseph di Beirut: padre Samir Khalil, noto anche al pubblico italiano. Egli mi raccontò di aver ritrovato un racconto di viaggio dell’epoca abbaside (IX-XI secolo) di un giurista proveniente dal Maghreb (Nord Africa): all’epoca si parlava molto della scuola di Baghdad e di un noto califfo che amava chiamare ogni anno presso la sua corte i filosofi e i teologi più in voga all’epoca. Il giurista -che nella tradizione medievale è anche filosofo e teologo – era incuriosito dal fatto che il califfo non esitasse a radunare insieme autori dai pareri più divergenti: così cristiani, ebrei, musulmani ortodossi, musulmani eretici (appartenenti a sette) e atei potevano parlare e dialogare tra loro senza alcun problema. Dopo un lungo viaggio il nostro giurista arrivò a Baghdad, e si recò nel palazzo del califfo per seguire i seminari; in quel diario ritrovato da padre Samir, il giurista appare stupefatto e disorientato dalla totale libertà e parità con cui i filosofi potevano discutere; egli osserva che ogniqualvolta un filosofo esponeva la sua tesi, tutti gli altri si alzavano in segno di rispetto. Il giurista maghrebino, non abituato a quel genere di libertà, scrive che una volta concluso il ciclo di incontri se ne sarebbe andato da Baghdad e non avrebbe più rimesso piede nella capitale del califfato abbaside. Nella nostra postmodernità o sovramodernità, nell’oceano di stereotipi che si estende in tutte le direzioni, può sembrare paradossale che molto tempo fa tali pareri potessero avere un luogo di confronto. Ma è proprio questo che il mondo occidentale dovrebbe capire: esistono molti autori, di certo non molto conosciuti, che sono stati accusati di ateismo, in arabo zandaqa, termine con cui l’Islam definisce sia gli atei che i disobbedienti (apostati). Guardando all’ateismo dell’occidente, si nota però la posizione marginale che l’ateismo ha potuto occupare nell’Islam.
Quando calò la sciabola del potere
L’ateismo ha coabitato per molto tempo con il potere e con la fede nell’Islam medievale. Già un autore come Abu-1-Ala-al-Ma’arri, morto ottantacinquenne nel 1058, nella sua Epistola del perdono notava: “Tutte le religioni hanno i loro eretici (•••); gli zin-dicj (plurale di zandaqa, ndr.) non sono che dei materialisti; essi non riconoscono né i profeti né le scritture”. Celebri sono anche i versi di un ateo del periodo abbaside, Abdel Qoddush: “Siamo allo stesso tempo fuori del mondo e nel mondo. / Quaggiù non siamo né vivi né morti. / Ma se qualcuno viene a chiedere della nostra sorte, / noi rispondiamo con gioia: Egli è venuto dal mondo”. Il lettore occidentale che legga queste brevi righe potrà impostare diversamente la domanda sull’ateismo: l’ateismo non è una frontiera fra occidente e oriente, ma nell’Islam la sua storia è stata totalmente diversa. Impossibilitato a divenire massa critica nel mondo musulmano, l’ateismo ha rivestito in esso gli abiti di un fenomeno, se non ai margini della società, certo ridotto al silenzio da quando il potere politico, per timore di sua delegittimazione, usò la sciabola per mettere fine al tentativo di fornire alla società una parola diversa. Perché dietro la questione dell’ateismo si cela sottilmente la grande questione della libertà: la libertà di pensiero, di creazione, e così via. E nel contesto attuale, mentre da oltre vent’anni assistiamo al monopolio di una teologia neofondamentalista, il pensiero ateo ha difficoltà a farsi strada come espressione di libertà. Questo non impedisce tuttavia che alcune persone di radice musulmana si proclamino atee.
L’occidente e il deserto di sentimenti
Apparentemente si tratta di una contraddizione; ma più ci avviciniamo all’oggetto della contesa, più percepiamo che l’ateismo rivela la condizione del malessere, sia nell’Islam che in occidente: nell’Islam semplicemente perché l’ateismo rappresenta l’affermazione dell’individuo sulla comunità, della libertà sulla tirannia, del pensiero individuale contro il pensiero unico. La storia dell’ateismo nell’Islam medievale ci insegna proprio questo: che i califfi illuminati sono stati rari, e che poi la luce si è interrotta, lasciando spazio a un’oscurità crescente e sempre più deflagrante. Può essere così riassunta questa parte di storia del mondo musulmano. Ecco perché si può essere paradossalmente chiamati “musulmani atei”. E a occidente, che ne è dell’ateismo? Incarna la vittoria della libertà sul dispotismo, o è qualcosa di più complesso? Forse si dovrebbe constatare che il nostro vivere nell’era globale è drammaticamente segnato dalla globalizzazione delle inquietudini; oggi non esiste un angolo del pianeta che non sia lavorato dall’interno dal sentimento di aver perso un mondo. E questa geografia mi porta a constatare che dietro l’ateismo si nasconde tutto ciò: il lento instaurarsi di un vuoto che ci rende sempre più orfani, sempre più deboli; un luogo inquieto, dove le inquietudini si coniugano con il malessere di un’umanità che sempre più sembra vivere in un deserto che deserto non è, sulla traccia di un confine dove le parole cadono nel vuoto, un vuoto che ci fa sentire in un deserto di idee, parole e sentimenti.
Testo dell’articolo di Khaled Fouad Allam pervenuto a ultimissime
Quest’articolo e’ bello e interessante ma la sua chiusa non mi piace ne’ mi sembra coerente con il resto.
Detto questo, e’ interessante notare che il pensiero ateo e’ sempre esistito, in tutte le epoche e in tutte le culture. Inoltre i pensatori atei hanno spesso espresso idee simili tra loro, nonostante le evidenti differenze culturali. Al contrario, le religioni hanno quasi sempre principi e fondamenti incompatibili. Il relativismo e’ necessario per evitare che i religiosi si saltino alla gola l’uno dell’altro, ma forse e’ superabile in uno scenario ateo.
Concordo, e neppure a me il finale è piaciuto. D’altronde se lì nessuno mai avesse dubitato delle scritture, sarebbe stato davvero un miracolo!
X Magar
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nell’Islam
http://www.islamitalia.it/italia/diritti.html
Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam
http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20050107184105
Vabè, sono le solite chiuse da credente: penso che i credenti a volte non possano far altro che ripetere ossessivamente (e ripetersi, per convincersene) i soliti mantra dell’ateismo “materialista”, “insensibile”, “senza valori”, “senza prospettive”, dato che gli atei, nonostante ciò che si dice, vivono bene proprio come gli altri – solo, con giustificazioni diverse. Ammettere un qualche valore esistenziale all’ateismo pari alla religione significherebbe implicitamente sminuire la religione, rivelando che non è indispensabile.
un articolo privo di mordente e molto confuso, pieno di parole al vento. L’ateismo non rivela la condizione di malessere e non è una maschera che nasconde il vuoto e/o la debolezza. E’ invece il segno tangibile che ha vinto la razionalità e la libertà, dove prima regnava la superstizione e l’oppressione dell’uomo
Se c’è qualcosa che ha SEMPRE rappresentato la decadenza dell’Occidente, semmai, è il Cristianesimo.
E, non a caso, la attuale decadenza del mondo arabo terminerà solo con la sua laicizzazione.
Khaled Fouad Allam è solo un bravo scolaro che con una serie di artefici retorici ripete la solita lezioncina che condivide con i talebani e la nostrana pretaglia: l’ateismo è figlio della decadenza occidentale. Non servono altri commenti.
Caspitra! un musulmano ateo tieno lo stesso destino che tenevano il cristiano nel primo secolo
http://www.faithfreedom.org/ http://www.italian.faithfreedom.org/forum/
Giuva, e un Testimone di geova ateo, magari figlio minorenne di una coppia devota alla Sala del Regno, che destino tiene?