Ci vengono chiesti spesso dati attendibili sulla credenza e sull’appartenenza religiosa. Sul nostro sito pubblichiamo una raccolta e altri riferimenti sono occasionalmente menzionati nelle notizie. Una volta consultata la scheda, ci viene spesso chiesto come mai i risultati sono così variabili. Semplice: dipende dal modo con cui vengono formulate le domande. Che spesso è pro-religioso.
Il problema è stato sollevato su Free Inquiry da due sociologi vicini al mondo laico statunitense: Ryan T. Cragun, autore del recente What You Don’t Know about Religion (but Should) di cui già abbiamo parlato, e Barry A. Kosmin, tra i curatori dell’American Religious Identification Survey.
Si fa notare che tra i maggiori finanziatori delle ricerche negli Usa ci sono enti legati al cristianesimo conservatore e che le domande spesso sono poste in modo da stimolare un “bias culturale” a favore della religione. Ad esempio, quasi sempre si chiede alle persone “quanto sono religiose” e le domande e le opzioni sono formulate in modo tale da far apparire le persone più religiose di quanto non lo siano. I due ricercatori parlano di “centinaia di studiosi” che nelle loro ricerche sulla religione pongono le domande in maniera tendenziosa (o comunque tali da favorire una risposta più religiosa) e i media rilanciano questa visione. Gli studiosi più devoti possono contare su maggior sostegno, anche finanziario, e le loro ricerche “influenzano la percezione pubblica della sulla religiosità e rafforzano il bias pro-religioso nella cultura americana”.
Per rendere evidente il meccanismo, Kosmin e Cragun hanno volutamente confezionato otto sondaggi in due versioni: uno con informazioni sottilmente negative che precedevano “domande ridicolmente tendenziose” sullo stile del push polling usato dai politici e l’altro di controllo, solo con le domande tendenziose. Ad esempio, nella prima versione della prima domanda si elencavano una serie di privilegi fiscali per i religiosi e quindi si chiedeva “quanto fortemente ti opponi alle agevolazioni fiscali per il clero?”, mentre nella seconda c’era solo la domanda. È emerso che nel gruppo sperimentale le risposte erano sensibilmente orientate verso una maggiore opposizione alle agevolazioni fiscali per i pastori.
Gli altri temi toccati sono stati il sentirsi sicuri a lasciare un bambino solo con un religioso; quanto la religione sia responsabile del terrorismo, della diseguaglianza di genere, dell’attitudine anti-scientifica degli statunitensi e del trattamento discriminatorio verso gli omosessuali; la critica al proselitismo religioso. È emerso anche negli altri casi come l’accoppiata con premessa negativa e domanda tendenziosa avesse un effetto ancor più dirompente, alterando la proporzione tra le varie risposte.
In conclusione, Cragun e Kosmin prospettano alcune soluzioni. Non solo invitano i laici segnalare che certi sondaggi sono tendenziosi, ma anche a finanziare quegli studiosi che garantiscano maggiore imparzialità, nonché a battere proprio sulle questioni dove la religione esce negativamente (come la tolleranza verso gli omosessuali o l’esenzione delle tasse).
Mark Silk, su Religious News Service, nota che il test ha fatto emergere certe idee negative degli americani verso la religione (sebbene gli stessi ricercatori abbiano chiarito comunque che le domande erano tendenziose e che le risposte non avessero valore scientifico). “Per un ritratto onesto delle attitudini sul ruolo della religione”, ha aggiunto, “sarebbe una buona cosa se i ricercatori fornissero alla gente più opportunità di esprimere sentimenti anti-religiosi, in maniera equilibrata, ovviamente”.
Un problema diffuso, quello del modo in cui sono confezionati i sondaggi sulla religione, in Italia particolarmente palese vista la tendenza a celebrare il Vaticano e la Chiesa, con tanto di amplificazione mediatica. Basti considerare i recenti sondaggi del Cesnur in cui si rileva un sensibile aumento della partecipazione religiosa con l’elezione di papa Francesco tra i cattolici. Proprio l’istituto diretto dal sociologo e cattolico militante Massimo Introvigne, già noto per la propaganda integralista sulla “persecuzione” dei cristiani in Occidente e per i numeri improponibili dei martiri cristiani. Allo stesso modo funzionano le cifre false diffuse dal Vaticano attraverso il suo Annuarium Statisticum Ecclesiae, false sia dal punto di vista della credibilità, sia della loro coerenza.
A ciò aggiungiamo infine anche il problema della desiderabilità sociale, che gioca a sua volta a favore della religione. E che porta ad affermare, nei sondaggi, che si è credenti e/o praticanti, anche quando la realtà è completamente diversa. Un fenomeno ben conosciuto nell’ambito della sociologia della religione, e che in Italia è emerso platealmente in una ricerca effettuata per conto del patriarcato di Venezia.
La dimensione della non credenza è in crescita. Non sono soltanto le gerarchie ecclesiastiche a essere preoccupate: vi è infatti tutta una schiera di intellettuali e istituzioni che valuta negativamente questo fenomeno. Quello della diffusione di dati inficiati o letteralmente falsi è uno dei tanti modi per cercare di arginare il fenomeno, minimizzandolo. Agli attivisti atei e agnostici spetta poi il compito del debunking: un’attività sempre più intensa, a quanto pare.
La redazione
La secolarizzazione c’è, e si vede: http://dallapartedialice.wordpress.com/statistiche-sulla-secolarizzazione/
Titolo della foto:
Le religioni (tutte palle)
🙂
Ah, ma vedo che serlino è una piaga ovunque 😆
Questo commento era per Dalla parte di Alice