In un distretto somalo sotto il suo controllo il gruppo islamista Al-Shabab ha introdotto restrizioni sociali senza precedenti. Ora nella città di Jowhar uomini e donne non potranno più stringersi la mano, né potranno camminare o parlarsi in pubblico se non legati da vincolo di parentela. L’amministrazione Al-Shabab, si legge sul sito della BBC, ha fatto sapere che la violazione delle nuove leggi sarà punita secondo la sharia, cioè probabilmente con la fustigazione pubblica, ha dichiarato il portavoce della BBC a Mogadiscio, Mohamed Moalimuu. In passato, nelle aree da esso controllate, ovvero nella maggior parte della Somalia centro-meridionale, il gruppo islamista aveva già vietato la musica.
Ginaluca Giachè
Ogni tanto mi chiedo se è solo un sogno che viviamo nel terzo millennio oppure se siamo ancora in pieno medioevo.
È interessante vedere di cosa siamo capaci, della tecnologia che abbiamo prodotto, della conoscenza che abbiamo al giorno d’oggi. Ma quando c’è di mezzo la religione, pare che il nostro cervello non funzioni più come dovrebbe…
Forse è ora che si definisca la religione come un disturbo mentale diffuso nella popolazione in forme di diversa gravità.
concordo con te
Il vero colpevole è l’analfabetismo e una religione come unico fonte di sapere ( questo vale anche per il Pakistan ) .
Entro anche io nella discussione perchè sono colpito dalla lucidità dell’intervento di Sandra che condivido.
E giro questo mio tentativo di contribuire allo scambio di idee anche a Bruno Gualerzi
L’argomento sin qui eviscerato mi fa balzare alla mente l’esplicitazione di una critica al Gualerzi-pensiero (Bruno è sempre bello avere un pungolo critico come te che ti forza a ragionare, anche se si può non essere d’accordo, sia chiaro).
Gualerzi,
Sandra mi ha dato un grande spunto in quest’ultimo intervento.
In molti tuoi post ci dici -o così a me pare- che la vera razionalità atea è quella che non aliena l’individuo vivente qui e ora (l’Unico riprendendo Max Stirner) in nome di un fantomatico miglioramento futuro, e per sacrificare se stessi in nome di un ideale ci vuole una forte carica di tipo mistico-religioso che cozza con la razionalità non alienata, presupposto per un’umanità migliore.
Allora, tornando agli intellettuali collaborazionisti: in molti regimi sappiamo bene che non prestare la propria opera può portare ad una serie di conseguenze repressive fino all’uccisione dell’individuo.
In questi regimi un intellettuale che collabora è ragionevolmente sicuro di non aver torto un capello, uno che si rifiuta sa di poter fare una brutta fine.
Mi sembrerebbe che, stando agli assunti primi della tua weltanshauung, l’individuo razionale sia il collaborazionista e non l’oppositore.
Io ho un altro concetto dell’individuo: la ragione può capire che i miglioramenti spesso possono darsi solo nel futuro per l’impegno che i vivi mettono nel presente.
In alcune situazioni questa consapevolezza può far capire che è necessario sacrificare la propria vita per poter anche solo sperare in un domani migliore per i posteri.
A questo punto a mio avviso scatta la componente emotiva, forse per gran parte genetica: il coraggio.
Chi ce lo ha accetta il sacrificio indispensabile, chi ne ha meno non lo fa.
Quest’ultimo è da comprendere, il coraggio estremo è merce rara, ma credo che appunto si esuli dal concetto di razionalità come lo intendi tu.
Il fatto è che si punta troppo sulla tecnologia per sperare di sconfiggere la cultura religiosa. Le religioni, vecchie e nuove – a parte l’ala più oscurantista – non hanno nessun problema ad usare la tecnologia per potenziare le religioni stesse. I paesi pià fondamentalisti (come del resto tutte le dittature), arretrati sul piano politico, sociale, in definitiva culturale (l’accostamento al medioevo forse fa un torto al medioevo), non lo erano e non lo sono sul piano tecnologico. Anzi
Forse sono altre le strade da percorrere per uscire da questo ‘medioevo’.
Certo Bruno, non offendiamo il Medio Evo che non lo merita per tutto quello che di valido ci ha dato sul piano culturale.
Usiamolo semmai per accoppiarlo al potere clericale, all’oscurantismo religioso (e non tutto perchè anche lì il discorso sarebbe lungo e complesso) oscurantismo che mentre il Cristianesimo ha lasciato dietro di se (non per merito suo ma perchè gli è stato imposto) l’Islam vive invece ancora profondamente. La tecnologia è fredda, si può acquisire facilmente almeno a certi livelli che poi sono quelli che interessano ” i nostri amici ” a partire da quel “simpaticone” di padre Livio Fanzaga a cui non è difficile premere un tasto per offendere e lanciare strali contro di noi, o ad un guerriero talebano che vuole usare un’arma anticarro. Tu dici forse sono altre le strade ed io ti rispondo che sicuramente è un’altra: il cervello; fermo restando che non dobbiamo dimenticare il fatto che la cultura va difesa da chi vuol distruggerla con la violenza.
Io penso, inoltre, che quel tale che definì le religioni la droga del popolo, fu e resta per questa scientifica deduzione il Salvatore dell’Umanità.
Le religioni sono le droghe più micidiali del cervello umano, i più dolorosi scarti dell’evoluzione. Strumenti di tortura dell’umanità. Memi che fanno regredire l’uomo ad un livello che non trova paragoni adeguati, neppure con la bestialità. Direi che la crudeltà umana è la perfetta qualifica religiosa. Infatti,diceva quel tale, buoni o cattivi tendenzialmente si nasce, ma occorre il meme di una religione per rendere crudele anche il buono naturale!
Penso che la strada debba essere il pensiero scientifico, da non confondere con la tecnologia: usare un computer è diverso dal conoscere e saperlo programmare, come accendere il televisore è diverso da sapere qualcosa sulla trasmissione analogica o digitale. La mia impressione è che, all’aumentare davvero impressionante a partire dal 1700 in poi dalle conoscenze scientifiche ad oggi, il rapporto tra conoscenze scientifiche individuali e quantità di conoscenza scientifica a disposizione sia rimasta pressoché costante, e prossima allo zero. Mentre nel 1600 un filosofo poteva spaziare abbastanza agilmente in tutti i campi del sapere umano, oggi un genio in biomedicina non avrà molte competenze in comune con un astrofisico. Figuriamoci poi se parliamo dell’uomo della strada, che sa poco e niente dei principi scientifici di cui fa uso quotidianamente, dalla tecnologia alla medicina.
Nel metodo scientifico il dubbio, la curiosità di andare oltre a quelle che sembrano certezze, è elemento fondamentale. Che fa a pugni con i dogmi delle religioni (o delle ideologie politiche).
@ Sandra
“Figuriamoci poi se parliamo dell’uomo della strada, che sa poco e niente dei principi scientifici di cui fa uso quotidianamente, dalla tecnologia alla medicina.”
Non concordo. Tieni presente che l’informazione fa si che oggi un gran numero di persone possegga delle conoscenze (certo non approfondite ma di una certa validità) che due secoli addietro solo il 2% della popolazione Europea possedeva.
Questa, tra l’altro, è la causa principale che ha eroso il potere clericale che tutto basava sul mistero e la paura, sul buio della mente e l’analfabetizzazione.
Ovviamente di strada ne dobbiamo percorrere e sempre l’uomo della strada come molti di noi, rincorrerà il pensiero più aggiornato dell’uomo di scienza. Il poter documentarsi attraverso programmi televisivi seri, riviste specializzate ed articoli sui quotidiani, incontri e quant’altro è alla portata di tutti. Questo un tempo era inimmaginabile; un tempo quando solo pochissimi sapevano leggere e scrivere e oltretutto dovevano lavorare per troppo tempo.
Stefano, quanta gente per strada saprebbe spiegarti la tavola periodica degli elementi, o il principio di indeterminazione di Heisenberg o il funzionamento della datazione del carbonio-14? Due secoli fa queste informazioni non c’erano ancora, sono cruciali nella nostra vita quotidiana, ma pochi saprebbero dirne qualcosa. Quanti saprebbero individuare una scheda rotta di un’apparecchiatura elettronica? Quanti hanno mai letto testi di macroeconomia? Sicuramente l’individuo di oggi ha maggiori conoscenze dell’individuo di ieri, ma è anche aumentata la quantità di conoscenze, crescono i termini del rapporto, non il rapporto. Pensa solo a quanto seguito hanno le medicine alternative, proprio nei paesi che hanno sviluppato la ricerca farmacologica. Non è un problema di mezzi di informazione, è di contenuto: la mole di informazione a disposizione non ci rende necessariamente meglio informati o meglio attrezzati a fruirne.
Se l’alfabetizzazione fosse la sola causa della perdita di potere del clero, nel nord europa sarebbe sparito da tempo, c’è anche un fattore politico, quello conservatore, che l’ha tenuto in vita, e che lo alimenterà sempre. Quelli che vanno in chiesa adesso non hanno davvero paura dell’inferno o altre baggianate, non ci credono nemmeno i preti, sono componenti di un partito tradizionalista, che vogliono mantenere un certo tipo di ordine sociale nel quale mantengono i loro vantaggi. Tanto è vero che ci sono laureati in discipline scientifiche che sono cattolici (se non sigh ciellini). Prendi il cattotroll enrico, è ingegnere industriale, percio’ ha sicuramente piu’ nozioni di chimica o fisica della maggior parte di noi, ma per quanto concerne la sua filosofia di vita questa è costruita su dogmi. L’avere studiato scienza non ha cambiato il modo con cui gli è stato insegnato a vivere la realtà, forse perché l’elasticità mentale, il dubbio, la capacità anche di vedere l’aspetto comico o ridicolo, si sviluppano fino a una certa età, dopodiché i dogmi si cablano nel cervello e non riesci piu’ a farci niente. Ci vuole una base elastica. Ecco perché i preti prendono i bimbi sempre prima a catechismo, per rendere rigide le fondamenta.
@ Sandra
Hai menzionato Enrico che è ingegnere industriale. È proprio questo fatto che io non capisco: come fa uno che è istruito ed ha imparato il pensiero scientifico (basato sull’osservazione e sull’esperimento) a “lasciarsi andare” quando si tratta di fede e dogmi? Come fa a non mettere minimamente in dubbio ciò che gli dice la religione oppure la chiesa? Scusate, ma questo proprio non riesco a capirlo.
@ Sandra
Acquisire una mentalità scientifica significa soprattutto una cosa: pensare e comportarsi razionalmente… il che non è affatto detto che valga per chi possiede nozioni scientifiche anche al più alto livello di specializzazione.
Fior di scienziati hanno prestato la loro opera, e ancora la stanno prestando, ai più efferati tiranni. Basti pensare agli scienziati che in periodo nazista sono giunti a un passo dalla fabbricazione dell’atomica e che in ogni caso hanno gettato le basi (Von Braun) per lo sviluppo della missilistica… oppure, in età staliniana la conquista dello spazio per primi… il Pakistan possiede l’atomica, e non credo che a fabbricarla siano stati dei filosofi, così come la Corea del Nord, o come, forse fra poco, l’iran…
In altre parole, un conto è possedere nozioni scientifiche, altro è pensare scientificamente, che, ripeto, significa – certo avendo acquisito la forma mentis richiesta dal metodo scientifico – pensare razionalmente. Non tanto usare la ragione in senso strumentale (un genio può usare la sua genialità in modo irrazionale, e tanto più pericoloso proprio perchè geniale), ma usarla a 360 gradi, cioè in tutti i campi in cui il vivere civile la richiede.
Scusate, ma parlando di Somalia parlare di scienza e tecnologia mi pare fuori luogo, visto che siamo in una realtà di miseria ed analfabetismo generalizzata (come ha detto bene Gerard) contensto in cui ha buon gioco la superstizione.
Non credo che i signori della guerra somali e i fautori della sharia abbiano bisogno di alta tecnologia, bastano armi ordinarie che sul mercato si reperiscono semplicemente con buone quantità di soldi.
Andando al discorso in senso lato: farei presente che al nazismo aderirono sostanzialmente gli intellettuali delle più svariate discipline (scienziati, artisti, filosofi, filologi, storici) per cui il discorso è più complesso di quello del fanatismo o della razionalità metodologica.
C’è gente che si vende per soldi, gente che lo fa per paura, gente che viene indottrinata dalla martellante propaganda sin da piccoli…certamente gli scienziati e i filosofi non sono immuni nessuno dei due dal condizionamento o dal non avere un cuor di leone (e lo dico senza giudicare, nel senso che non saprei che avrei fatto io in un contesto simile, sia chiaro)
Gradient: “come fa uno che è istruito ed ha imparato il pensiero scientifico (basato sull’osservazione e sull’esperimento) a “lasciarsi andare” quando si tratta di fede e dogmi? ”
Secondo me perché il pensiero scientifico non dà risposte che invece fornisce la religione, e che per alcune persone sono vitali a livello emotivo. La scienza non fornisce certezze assolute, è un sistema giovane in pieno sviluppo, ha molte domande, molti dubbi, molte ipotesi. Tende a non prendere niente come definitivo. Non ha tabu’ o dogmi. E’ dissacrante. In una parola non è una gruccia per chi ha bisogno di risposte certe, o di chi vi ritrova un certo tipo di persone, c’è anche l’aspetto sociale e di vantaggio pratico che spesso sono da considerare (sanità lombarda docet).
Bruno, non sta allo scienziato, secondo me, stabilire il confine tra cio’ che è etico e cio’ che non lo è, anche perché determinati scoperte tecnologiche, considerate inizialmente vantaggiose (es. CFC dei frigoriferi) si rivelano poi disastrose. Che si fa, si resta senza frigo per quarant’anni nell’attesa di stabilire se il cfc buca o meno l’ozono? Nel frattempo il frigorifero ci ha risparmiato numerosi patologie di carattere alimentare. Rinunceresti a studiare l’atomo per paura dell’atomica? Ma allora devi essere pronto a rinunciare a tutto quello che è derivato anche per le persone normali, la risonanza magnetica, tutta l’elettronica di consumo basata sui microprocessori, i superconduttori che ci permettono di avere memorie nei nostri computer che solo vent’anni fa ce le potevamo scordare, con importanti implicazioni nella diagnostica medica.
E’ vero che non sono i filosofi che fabbricano bombe nucleari o armi chimiche, ma vengono pero’ sempre utilizzati da regimi nati intorno a ideologie che, questo si’, nascono per opera di filosofi, indipendentemente o a servizio della politica: gli eserciti si sono sempre mossi a servizio di idee che mascheravano interessi economici, ma in cui la scienza era a valle, non a monte.
A questo punto pero’ non capisco nemmeno cosa tu aspichi per uno scienziato: Einstein, se avesse agito razionalmente, avrebbe dovuto stracciare la formula e=mc2. E poi? A parte che avevo letto che era già stata scritta (da un italiano tra l’altro), proponi che uno scienziato nasconda le sue scoperte, nel dubbio che possano essere poco etiche? Anche Newton tenne nascosto per piu’ di vent’anni il calcolo differanziale, ma Leibniz ci arrivo’ comunque indipendentemente. Lo scienziato non è interessato all’uso delle sue scoperte, è interessato a capire.
@ Sandra
Dicevo semplicemente che la mentalità scientifica non si misura solo sulla conoscenza di nozioni scientifiche e sulla pratica scientifica, ma, ripeto, su un uso della razionalità (che poi è la facoltà che rende possibile la scienza) in tutti i campi. Insomma, per me mentalità scientifica è lo stesso che dire razionalità, all’uso della quale sono tenuti ovviamente anche i filosofi. E per me anche l’etica – e starei per dire soprattutto – o si basa sulla razionalità o non è.
Insistevo su questo punto perchè da certi interventi, che anzi vanno per la maggiore su questo blog, sembra che la pratica della scienza sia DI PER SE’ garanzia di apertura mentale. Non lo credo affatto.
Il riferimento ai filosofi poi era una battuta, perchè lo steso discorso fatto per la scienza – anzi in misura ancora maggiore – deve valere pure per i filosofi. le cui teorie possono essere pericolose quando, invece di eseritare la facoltà di pensare avendo ben presente i limiti della condizione umana, ritengono di cogliere una verità che la trascende. Proprio come accade con le religioni.
“Dicevo semplicemente che la mentalità scientifica non si misura solo sulla conoscenza di nozioni scientifiche e sulla pratica scientifica, ma, ripeto, su un uso della razionalità.”
Fin qui sono d’accordo, il problema è poi che in realtà alla mentalità scientifica non ci si attiene, nemmeno gli scienziati, quando si passa nel comportamento, perché la sfera emotiva prende il sopravvento. Molti scienziati, anche tra i grandi, avevano comportamenti assolutamente irrazionali (per non dire di peggio). Quindi, si’, la pratica della scienza non è garanzia di pensiero razionale.
I concetti poi si confondono, almeno per me, se metto a fianco la razionalità e la coerenza logica. Se sono razionale devo essere anche logicamente coerente nel mio comportamento: ma se questo mi danneggia? Essere coerenti con la logica di pensiero che ci si è data fa vivere meglio o peggio? Dipende, per alcuni è meglio far tacere la coerenza e far spazio all’irrazionalità, dopo tutto si puo’ considerare come irrazionale vivere secondo logica se questo porta a uno svantaggio (di varia natura, sociale, economico, psicologico, …). Per questo penso che il tuo auspicio di una etica razionale poco realistica considerato quello che sono gli uomini e quello di cui poi si trovano, per loro limite naturale, ad avere bisogno. L’individuo ideale, quello che applica la razionalità alla vita, è il dottor Spock, un mezzo umano in cui l’elemento emotivo che annebbia le decisioni è assente. Ma gli individui cosi’, distaccati, sicuri di sè, che riescono a dominare le proprie paure, sono eccezioni che confermano la regola.
Mi scuso, copio un commento che ho inserito ora in un posto sbagliato per errore coi ‘rispondi’
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Entro anche io nella discussione perchè sono colpito dalla lucidità dell’intervento di Sandra che condivido.
E giro questo mio tentativo di contribuire allo scambio di idee anche a Bruno Gualerzi
L’argomento sin qui eviscerato mi fa balzare alla mente l’esplicitazione di una critica al Gualerzi-pensiero (Bruno è sempre bello avere un pungolo critico come te che ti forza a ragionare, anche se si può non essere d’accordo, sia chiaro).
Gualerzi,
Sandra mi ha dato un grande spunto in quest’ultimo intervento.
In molti tuoi post ci dici -o così a me pare- che la vera razionalità atea è quella che non aliena l’individuo vivente qui e ora (l’Unico riprendendo Max Stirner) in nome di un fantomatico miglioramento futuro, e per sacrificare se stessi in nome di un ideale ci vuole una forte carica di tipo mistico-religioso che cozza con la razionalità non alienata, presupposto per un’umanità migliore.
Allora, tornando agli intellettuali collaborazionisti: in molti regimi sappiamo bene che non prestare la propria opera può portare ad una serie di conseguenze repressive fino all’uccisione dell’individuo.
In questi regimi un intellettuale che collabora è ragionevolmente sicuro di non aver torto un capello, uno che si rifiuta sa di poter fare una brutta fine.
Mi sembrerebbe che, stando agli assunti primi della tua weltanshauung, l’individuo razionale sia il collaborazionista e non l’oppositore.
Io ho un altro concetto dell’individuo: la ragione può capire che i miglioramenti spesso possono darsi solo nel futuro per l’impegno che i vivi mettono nel presente.
In alcune situazioni questa consapevolezza può far capire che è necessario sacrificare la propria vita per poter anche solo sperare in un domani migliore per i posteri.
A questo punto a mio avviso scatta la componente emotiva, forse per gran parte genetica: il coraggio.
Chi ce lo ha accetta il sacrificio indispensabile, chi ne ha meno non lo fa.
Quest’ultimo è da comprendere, il coraggio estremo è merce rara, ma credo che appunto si esuli dal concetto di razionalità come lo intendi tu.
@ Sandra – Batrakos.
(Replico ad entrambi perchè mi pare su tante questioni siate sulla stessa lunghezza d’onda.)
Grazie intanto per gli interessantissimi riscontri che permettono anche a me di mettere alla prova – o cimunque di precisare sempre meglio – le mie convinzioni. Portate pazienza se mi ripeterò… lo faccio sperando di farmi intendere sempre meglio.
La questione della razionalità.
Qui davvero, per impostare la questione come la vedo io non posso che ripetermi quasi alla lettera (e alla noia (^_^). Premessa delle premesse: per me (ma ovviamente non credo solo per me) parlare di razionalità, di ragione, è lo stesso che parlare ci coscienza, intesa come facoltà di pensare, di riflettere. Ed è ciò che considero un istinto tra gli altri di cui l’evoluzione ha ‘dotato’ l’uomo in funzione – come tutti gli istinti – della sopravvivenza della soecie attraverso la riproduzione degli individui. Caratteristica di questo istinto è rendere l’uomo consapevole dei propri limiti (gli animali, per quanto se ne sa, per come percepiamo il loro comportamento, non hanno alcuna consapevolezza dei propri limti: li vivono e basta). Ora, in considerazione della inevitabile reciproca influenza tra i vari istinti è evidente che la consapevolezza come tale non basta per garantire la sopravvivenza dell’individuo prima della fine naturale (da qui, tra l’altro, la fuga in avanti di tutte le religioni e dei loro surrogati: ideologia e quant’altro vissuti ‘religiosamente’). E perchè non basta? Perchè altri istinti tendenti a potenziare al massimo le capacità dell’individuo come tale, lo portano a porsi in conflitto con gli altri individui, potenziali concorrenti. (Nota rapida: la condizione umana, come di ogni altro essere vivente, è caratterizzata dal bisogno e dalla necessità di farvi fronte ‘dandosi da fare’)
Che ruolo ha allora la ragione, un istinto – ripeto – che come gli altri serve alla specie per la propria sopravvivenza, qual è la sua peculiarità? Rendere consapevoli che la conflittualità (che è certamente congeniata alla condizione umana per le ragioni che si dicevano, ed è del tutto simile in questo agli animali) – può sì ‘servire’ per affermare la propria individualità – ma (ecco il paradosso, o se si vuole la contraddizione… a me piace parlare di ‘circolo vizioso) – SEMPRE IN FUNZIONE DELLA REALIZZAZIONE DELL’INDIVIDUO, può nello stesso tempo portare l’ìindividuo all’autodistruzione, e quindi potenzialmente all’estinzione della specie. Come? Proprio servendosi della ragione! Di una ragione che definisco ‘strumentale’ in quanto viene applicata – che se ne sia consapevoli o no – all’affermazione dell’individuo, sia che lo si consideri come singolo che come gruppo al quale si trova, o vuole, appartenere.
Che questo non sia (perchè è un pò sia la ragione che la verifica di quanto provo a sostenere) una sorta di cervellotica fantasia fine a se stessa, lo ricavo da un situazione in cui si è venuta a trovare storicamente l’umanità, per cui la possibilità dell’autoditruzione non è più il ricorrente sproloquio di qualche visionario apocalittico, ma un concreta evntualità in quanto i mezzi – pensati ed elaborati dall’uomo usando la ragione strumentale! – ci sono tutti. Tra gli animali la conflittualità porta normalmente a ristabilire un equilibrio in funzione delle risorse disponibili. Nell’uomo, potenialmente pià attrezzato in quanto dotato di ragione, proprio questa potenzialità può portarlo all’autodistruzione. Per ‘virtù’ propria
Torniamo alla razionalità. Non si tratta…
come anche nei vostri interventi si sostiene, di una sorta di facoltà di supervisione che ‘vorrebbe’ controllare gli istinti (genericamente le ’emozioni’, che giustamente richiamate nei vostri interventi), i quali però spesso ‘annebbiano’ la ragione, le impediscono di vedere le situazioni con la necessaria lucidità, di inserirle in una prospettiva logica ecc. … e, sì insomma, bisognerebbe essere come quel ‘dottor Spock’ che immagino sia un personaggio fantascientifico…
ma si tratta semplicemente (si fa per dire) di un istinto di sopravvivenza in continua ‘dialettica’ con gli altri istinti, la cui specificità, si diceva, è quella di rendere consapevoli di questa condizione…
il che non ha niente a che fare con la concezione – più o meno classica, ma anche religiosa – di una razionalità che deve soffocare i sensi, controllare le emozioni, e che in realtà non fa altro che sovrapporsi agli altri istinti pure vitali,… e quindi, in questa veste, altrttanto distruttiva…
ma si tratta di una razionalità che – dicevo – ‘può’ rendere consapevoli di queste situazioni, diciamo, autolesioniste per l’individuo e per la specie, ma che non è nè un ‘superistinto. nè (ma questo ad amici atei non c’è bisogno di dirlo) un dono divino.
Ecco, inoltre, in che senso considero l’eticità un comportamento vistuoso se e quando si basa su questa consapevolezza (razionalità) che coi nostri simili conviene collaborare… e se non lo facciamo… peggio per noi!
Poi c’è tutto il discorso sulla scienza, che ho fatto tante volte ma che pure andrebbe da parte mia precisato… però sarà per un’alyta volta (^_^)
Buona giornata.
Gualerzi, grazie della risposta, ma sul punto diretto per cui l’intellettuale che sceglie di non collaborare rischia consapevolmente di essere ucciso e quindi sarebbe poco razionale perchè sacrificherebbe la sua vita alienandosi per evitare una catastrofe futura che potrebbe anche avvenire dopo la sua morte naturale (e dunque come singolo, come individuo hic et ninc non importargli affatto), argomento che mi sembra essere la naturale conseguenza dalle tue premesse, non riesco ad individuare la risposta.
Comunque ora devo staccare per un po’, buona giornata anche a te!
Dimenticavo. Ci sono tante situazioni – come opportunamente richiamavate – in cui c’è poco da ‘ragionare’, occorre agire, in genere, per istinto… ed è soprattutto quando c’è in ballo la sopravvivenza propria o altrui direttamente messa in discussione. Lo so che sembrerà una risposta ovvia, banale… ma non vedo altra soluzione: usare la razionalità per fare in modo che ci si trovi il meno possibile in queste situazioni.
In guerra, per esempio: se non si riesce ad evitarla, poi c’è poco da fare: ‘mors tua vita mea’.
Bruno, Spock è un personaggio di star trek!
“Tra gli animali la conflittualità porta normalmente a ristabilire un equilibrio in funzione delle risorse disponibili. ”
Si stima che il 99% delle specie viventi che hanno popolato il nostro pianeta sia estinto. Le condizioni cambiano, alcune specie si adattano, altre soccombono, secondo lo stesso principio di competizione che ha portato civiltà a nascere, svilupparsi e declinare mentre altre si affacciavano per ricoprire lo stesso percorso. Perché noi non dovremo estinguerci? Verrà il tempo anche per noi, per nostro intervento diretto o per un meteorite come è giä successo, o per qualche esplosione stellare, o per qualche superbattere evolutosi a sopravvivere a qualsiasi antibiotico… Potrebbe succedere, senza schiacciare quel famoso bottone, per puro caso o per una concatenazione di fatti casuali, indipendenti da noi.
Il mio pensiero era molto semplice, e cioè secondo me non c’è motivo per cui uno scienziato non si debba comportare come il peggiore mercenario (per interesse, per avidità, per rivalsa personale), allo stesso modo per cui un semplice operaio decida di opporsi al nazismo cercando di risvegliare le coscienze dei propri concittadini inviando messaggi anonimi (per poi scoprire che per paura erano finiti tutti non letti alla Gestapo) mentre un intellettuale come von Karajan prese la tessera nel 33.
La realizzazione dell’individuo non è un valore assoluto, ognuno attribuisce un senso diverso.
Anche sulla collaborazione tra individui sono d’accordo, e ha senso per noi, che da poco ce lo possiamo permettere: viviamo in società di benessere, organizzate e rette da leggi espressione della cultura, ma non è stato sempre cosi’ e nella maggior parte del mondo non lo è. Il comportamento poi è virtuoso a seconda della situazione: per tornare all’atomica, era virtuoso o meno progettarla?
Bakatros, conosco Spock ma confesso di essere ignorante e non sapere niente di Stirner, ohimè! Ho appena letto due opere di un certo Fallada, in cui è ben tracciata la società tedesca nel 33 e nel 44, due storie diverse. La gente allora aveva preoccupazioni di carattere vitale: il lavoro, la casa, la salute. In questa società si è fatto strada il regime nazista, ma in modo strisciante, tanto che nella storia del 44 una coppia berlinese inizia a porsi domande solo dopo la morte del figlio. E inizia a pensare a una forma privata di resistenza, in fondo cos’hanno ancora da perdere? Se non lo hai letto, Ognuno muore solo, te lo consiglio. E’ una lettura angosciante, ti avverto, a me ha ricordato 1984, solo che questa era vera. C’è un elemento di consolazione: che al di là del coraggio o della vigliaccheria degli individui, le dittature, per la loro stessa natura, finiscono per appoggiare su individui mediocri, il che porta alla loro fine. Quando lo status è garantito dalla divisa, l’individuo non conta davvero piu’: chi non ha la divisa è nessuno, ma poco a poco nella divisa finisce per non esserci niente.
Gualerzi,
usare la razionalità per evitare di trovarsi in certe situazioni mi pare una non-risposta, anzi ancor più una giustificazione di chi ha appoggiato certe situazioni per quieto vivere: non esiste mica solo la guerra e la razionalità in alcune situazini non è tutto, ma l’ho già scritto.
Inviterei a prestare maggior attenzione, se ne avrai il tempo, al mio ultimo commento perchè il punto mi pare più dirimente rispetto alla risposta da te espressa.
Sandra,
grazie del consiglio bibliografico: me lo appunto e lo comprerò.
@ Batrakos
“usare la razionalità per evitare di trovarsi in certe situazioni mi pare una non-risposta”
Lo sarebbe certamente… se ci fosse una risposta migliore. Per come vedo io le cose infatti è inutile aspettare che gli eventi accadano cercando poi di porre rimedio, Certo che la razionalità non è tutto (credo di averlo detto ripetutamente), ma allo stato delle cose a questo punto della storia umana non vedo niente di più concreto (sì, proprio concreto), che appellarsi alla ragione come ultima spiaggia per la sopravvivenza della specie, cioè degli individui che la compongono. Dico questo non per pessimismo congenito, ma perchè, a lume di ragione, vedo sempre più l’operato degli uomini sfuggire loro di mano mentre nesun reale progresso è verificabile se non si guarda solo in casa propria… e in un mondo sempre più globalizzato le situazioni conflittuali, in atto o potenziali, non solo non sono diminuite, ma si alimentano a vicenda in una reazione a catena sempre meno arrestabile. La guerra, le guerre, sono solo lo sbocco finale, sempre più a rischio di non lasciare superstiti, di questa conflittualità: in questo senso l’ho presa in considerazione.
Il ruolo dell’intellettuale? Se per essere intellettuali si intende – come io intendo – ricorrere il più possibile a valutare razionalmnete (e ho già ripetuto più volte cosa intendo per razionalità) le situazioni, si può essre tutti ‘intellettuali’… anzi, da questo punto di vista la razionalità può essere vista come semplice ragionavolezza, alla portata di tutti. Non affermano sempre tutti, quando ‘ragionano’, che la guerra è solo una grossa follia, una grossa stupidaggine nel senso di totalmente irrazionale e che sarebbe bello se si potesse vivere tutti in pace? E cosa resta di fronte ai fanatismi, religiosi e non, se non puntare sull’istinto di sopravvivenza da risvegliare anche in loro? Talebani, anzi, di più kamokaze, compresi. Certo, se non c’è altra strada, si deve cercare di eliminarli per non esserne eliminati… ma nella chiara consapevolezza che così il problema non è certo risolto, solo rinviato sien die.
Tu dici che, per evitare la catastrofe futura più o meno annunciata devo farmene carico al presente, mentre se ‘me ne frego’… ecco, appunto, ‘se me ne frego’ vuol dire che quell’etica basata sulla razionalità non ha luogo. E se questo ‘non fregarsene’ può costare la vita? Qui siamo nel campo delle scelte personali, il cui criterio minimo da seguire è comunque quello di cercare la collaborazione, la solidarietà, di quanti la pensano allo stesso modo, spingendo poi eventualmente il proprio impegno anche nel mettere a rischio la propria vita, cioè una cosa di cui solo io posso disporre ed eventgualmete sacrificare. Ma sacrificare la ‘mia’ vita, non quella altrui… in ogni caso come ultima spiaggia, perchè il sacrificio della vita quasi mai serve veramente a qualcosa. E’ servita a qualcosa.
@ Sandra
Proverò a confrontarmi con te più tardi.
Gualerzi,
facciamola più spicciola perchè mi pare che ancora non staimo centrando il problema: se uno scienziato non collabora alla politica bellica di un regime sa che lo uccideranno, ma sa che venendo ucciso non gli fornirà un’arma di distruzione di massa ed eviterà la morte di tanti altri.
Se sceglie di non collaborare e morire lui, agisce, visto che citi Schopenauer, per empatia e deve anche avere un grande coraggio.
Ma quest’empatia e il necessario coraggio cozzano, e qui è il cuore della mia critica, con la necessità da te espressa di una ragione volta esclusivamente al presente per cui -stando al tuo modo di ragionare e tirando le conseguenze- sarebbe più razionale un collaborazionista che sacrifica mezzo mondo pur di rimanere in vita lui, perchè il suo sacrificio a nulla gli gioverebbe.
Sarebbe realmente più razionale? Non lo so: so solo che se tutti avessero usato e usassero questo metro di razionalità il mondo sarebbe un luogo ancor peggiore di quello che è oggi; per cui è un discorso che, quanto a conseguenze, supera le scelte individuali pure e semplici.
Il caso da te prospettato non tiene conto di quanto ho detto più volte: qui ci si trova di fronte ad una situazione ormai compromessa di fronte alla quale il sacrificio della vita per evitare catastrofi future non può che dipendere da una scelta personale, della quale risponderà lui e che gli altri potranno giudicare ma non imporre (del resto, come potrebbero?).
In quanto alla vita che deve essere slvaguardata quando la si vive, stesso discorso: se non posso evitare la guerra non mi resta che accettare di uccidere od essere ucciso. L’importante – nel caso specifico della guerra – è non creare il mito dell’eroe… non per disconoscsre e tanto meno condannare il gesto eroico, ma perchè il suo culto potrebbe dare dignità alla guerra stessa che come tale non ne ha nessuna. “Beato quel paese che non ha bisogno di eroi” diceva, se non sbaglio Brecht.
Non so naturalmente se la risposta ti soddisfa (ne dubito), ma riconoscimo lo sforzo per motivarla
Grazie della risposta e sì, era Brecht anche se quella frase poi apre un altro scenario pertinente al discorso e più complesso.
Certamente la domanda che qui ponevo, e da cui eravamo partiti, si basava su una situazione emergenziale ed estrema, quali i regimi.
Ovvio che sarebbe bene non arrivarci.
Poi un conto è il mito dell’eroe di tipo bellico, un conto avere rispetto e portare nel cuore chi, in situazioni estreme, ha avuto il coraggio di essere una grande persona.
E certamente l’homo rationalis che tu prospetti è un ottimo concetto, ma esistono purtroppo situazioni in cui la irrazionalità unita al monopolio della forza di pochi nega a tutti la possibilità, finchè non si supera quel momento, di una pacata ratio. I cosiddetti rapporti di forza.
E gli individui che si trovano a vivere quel determinato contesto storico, lì si trovano a vivere e in nessun altra situazione spaziotemporale, e per loro non ha senso dire che sarebbe stata una situazione da evitare a monte, giacchè ormai si trovano a valle.
Nemmeno io pretendo che tu sia d’accordo con me e l’importante è esserci capiti nei termini del problema, per cui non solo apprezzo il tuo sforzo, ma ti ringrazio dell’approfondimento e credo che a ben scavare le nostre non siano poi posizioni così inconciliabili se si va al dettaglio storico dal momento che per me in linea generale la tua riflessione di fondo è per molti versi condivisibile.
@ Sandra
“Perché noi non dovremmo estinguerci? Verrà il tempo anche per noi, per nostro intervento diretto o per un meteorite come è giä successo, o per qualche esplosione stellare, o per qualche superbattere evolutosi a sopravvivere a qualsiasi antibiotico”
Scusami se mi cito, ma in un passaggio del mio sito, ripreso da un libretto stampato recentemente, dico esattamente le stesse cose. Anzi tu fai un discorso più esauriente del mio, anche se il concetto è lo stesso. Con però la sottolineature che la specie umana è la sola in grado (si fa per dire) – sulla base delle considerazioni fatte più volte – di autoestinguersi prima del tempo. Ne ha già ora la concreta possibilità in quanto quel bottone non è stato ancora disattivato… sia fisicamente che psicologicamente.
“La realizzazione dell’individuo non è un valore assoluto, ognuno attribuisce un senso diverso.”
Diventa un valore ‘assoluto’ cioè etico – a mio modo di vedere – non tanto in relazione al senso che soggettivamente ognuno può liberamente dare alla propria esistenza, ma quando questo porta a mettere a rischio la vita degli altri. Della mia vita posso fare ciò che voglio, di quella altrui – razionalmente, cioè eticamente, parlando – no.
In quanto poi alla situazione planetaria, non sarò certo io a negarne la precarietà. Anzi, credo che proprio da qui bisogna ‘realisticamente’ partire per avere il vero punto di rferimento in base al quale orientare il proprio impegno. Nei limiti entro i quali ognuno può concretamente muoversi, ovviamente.
Oltre alle dotte dissertazioni fatte fino ad ora vorrei aggiungere una nota tecnica: come definiamo il vincolo minimo di parentela? fino a cugini primi? secondi? cognati? consuoceri? in un paese piccolo in fondo a cercare bene sono tutti un po’ parenti!!!
(tutto ciò non toglie che siano un po’, anzi molto, disturbati)
Col tempo ed a furia di frustate, il popolo somalo diventerà mostro e barbaro, come i suoi stessi aguzzini, che se ne inventano una al giorno.
Ci sono dei limiti umani alla sopportazione e nel caso della Somalia, l’unica speranza e’ che si raggiungano presto questi limiti, ed il popolo si rivolti.
Scusate. Mi sono appena accorto che il mio nome ha un errore rispetto al solito. 😉
No ma l’Islam è una religione moderata…
leggeremo a breve prese di distanza e forti condanne da parte delle organizzazioni musulmane in Italia e nel mondo
o no?
Su,Su !
Vedrete che tutto si risolvera senza l’uso della forza,come l’Occidente ha incautamente
tentato in un passato recente,ne tantomeno con le pressioni economiche (che affamano i bambini,no?).
Bastera aprire il dialogo,no?
Non ha forse sempre funzionato ?
Con certa gente non si può fare a meno della forza ma appena finito il lavoro, occorre costruire scuole ed ospedali sempre protetti dalla forza.
@ Sandra
Comprendo quello che dici ma credimi, oggi non è facile come una volta raggirare le persone. Il fatto che non esistano più gli schiavi e né la servitù della gleba, la dice lunga. Certo, il popolino è rimasto popolino rispetto a chi sta in alto; diciamo che non esiste più la piramide Egizia ma quella tagliata, quella Maya, per intendersi. Non sarà molto ma la storia ci insegna che per fare un piccolo passo occorrono secoli e secoli.
Sicuramente è meglio oggi di cento o duecento anni fa. Il progresso c’è stato, e l’umanità tende naturalmente verso il miglioramento. Poco ancora si sa, anche di noi stessi non solo del mondo, per cui si puo’ essere ragionevolmente ottimisti. Ma appunto per quel poco che si sa di noi stessi e del mondo, si potrebbe essere anche ragionevolmente pessimisti….. Limitandosi al presente, se si considera cos’è e cosa è stato l’uomo nei secoli, c’è davvero da stupirsi e da rallegrarsi che noi si viva cosi’ bene, noi siamo capitati in una combinazione geografico-temporale fortunata!